ARCHITETTURA TRA LE 2 GUERRE IN ITALIA
Dopo la 1° Guerra Mondiale si sentì la necessità di una ricostruzione che restituisse alle città ordine e dignità. Dal 1922 a questo si sovrapposero le esigenze del Fascismo e del suo bisogno di rendersi visibile anche con grandi opere civiche.
Si concepirono modalità costruttive funzionali e semplificate, coerentemente con la riscoperta della classicità latina e rinascimentale.
I più legati al Fascismo propugnarono un classicismo che rievoca i fasti romani e che poneva l’accento più su un’urbanistica monumentale che non sulla nuova razionalità.
Gli altri architetti scelsero di non lavorare a Roma per essere più liberi dalle contaminazioni politiche.
Per consolidare sia il consenso interno sia il prestigio internazionale, il Fascismo promosse massicce iniziative architettoniche e urbanistiche. Si va dal ridisegno di intere aree urbane, alla costruzione di nuovi edifici pubblici e di monumenti, dalla creazione di quartieri residenziali e di zone industriali fino alla fondazione di nuove città.
Ovunque si innalzarono edifici dai volumi netti, con coperture piane e finestre senza timpani o cornici, sulla falsa riga della migliore produzione della Bauhaus.
Si concepirono modalità costruttive funzionali e semplificate, coerentemente con la riscoperta della classicità latina e rinascimentale.
I più legati al Fascismo propugnarono un classicismo che rievoca i fasti romani e che poneva l’accento più su un’urbanistica monumentale che non sulla nuova razionalità.
Gli altri architetti scelsero di non lavorare a Roma per essere più liberi dalle contaminazioni politiche.
Per consolidare sia il consenso interno sia il prestigio internazionale, il Fascismo promosse massicce iniziative architettoniche e urbanistiche. Si va dal ridisegno di intere aree urbane, alla costruzione di nuovi edifici pubblici e di monumenti, dalla creazione di quartieri residenziali e di zone industriali fino alla fondazione di nuove città.
Ovunque si innalzarono edifici dai volumi netti, con coperture piane e finestre senza timpani o cornici, sulla falsa riga della migliore produzione della Bauhaus.
MARCELLO PIACENTINI (1881 – 1960)
Per ridare una forma alla Roma caput mundi fascista, Piacentini immaginò un assetto che portasse via dal centro storico i cittadini più poveri. La tendenza a un monumentalismo celebrativo si esaspera nella creazione di Via della Conciliazione davanti alla Basilica di San Pietro (1937–1940). L’operazione implicò uno sventramento delle stradine circostanti al colonnato del Bernini per far posto a un grande viale. Così facendo si cancella il simbolismo raffinato della Chiesa della Controriforma. Con il suo colonnato materno e provvidenziale, che si apriva improvvisamente dalle tante stradine medievali, Bernini aveva interpretato cosa può essere la fede e la Chiesa. Invece ora si preferisce dare un accesso retoricamente monumentale a Piazza San Pietro. EUR (1938 – 1942). Il complesso, voluto da Benito Mussolini, fu progettato negli anni trenta in previsione di un’ “Esposizione Universale” mai svolta a causa della guerra. La realizzazione dell’Eur aveva ovviamente uno scopo propagandistico: da un lato doveva festeggiare il neo impero italiano (dopo la guerra etiopica) e dall’altro commemorare i vent’anni della Marcia su Roma di Benito Mussolini e del governo fascista. Tutto quindi doveva avere chiari riferimenti sia politici sia culturali, con un continuo rimando ai valori della romanità e dell’Italia e in più generale all’idea di supremazia intellettuale e civile del Belpaese sul resto del mondo. Piacentini, con la sua architettura razionalista, doveva celebrare la grandiosità di Roma, proiettarla al futuro senza dimenticare il passato. l quartiere fu ispirato, secondo l'ideologia del fascismo, all'urbanistica classica romana, apportandovi gli elementi del razionalismo italiano: la struttura prevede un impianto vario ad assi ortogonali ed edifici architettonici maestosi e imponenti, massicci e squadrati, per lo più costruiti con marmo bianco e travertino a ricordare i templi e gli edifici della Roma imperiale. Vennero costruiti lunghissimi stradoni come raccordo tra piazze smisurate, immensi edifici in marmo, bianchi e irreali, parchi e laghi artificiali, il tutto nel rispetto di uno schema geometrico perfetto e razionale. PALAZZO DI GIUSTIZIA (Milano, 1939 – 1940). L’edificio è a pianta trapezoidale, costituito da corpi che originano otto cortili principali, con struttura portante a pilastri in cemento armato su fondazioni a plinto e murature d'ambito e partizione interna in laterizio forato, con copertura parte a terrazza, parte a falda. Il monumentale edificio presenta facciate marmoree con un serrato ritmo di finestre e portali. Preceduta da una monumentale gradinata, la facciata principale è aperta da un triplice portale di accesso al grande vestibolo di smistamento, alto venticinque metri. Le grandi finestre con infissi in bronzo e le pareti interamente in pietra, contraddistinguono la facciata esterna. La severa architettura, mirata a conferire al palazzo la monumentalità in grado di soddisfare le esigenze celebrative del regime, è arricchita da numerose opere artistiche che rappresentano il tema della Giustizia. Il rivestimento marmoreo, l’esagerata dilatazione delle finestre, le retoriche scritte in rilievo, sono caratteri tipici del monumentalismo dell’architettura fascista. |
|
GIUSEPPE TERRAGNI (1904 – 1943)
E’ il protagonista più originale del Razionalismo italiano. Lui, insieme ad altri giovani architetti italiani, fonda nel 1926 il “Gruppo 7” che dichiara di aspirare a un’architettura moderna e allo stesso tempo classica. Per lui il progetto diventa una composizione di volumi la cui forma corrisponde alla funzione. CASA DEL FASCIO (Como, 1932 – 1936). Ha una pianta rigorosamente quadrata, l’edificio è un parallelepipedo bianco in cemento armato senza basamento né cornici e si erge nella Piazza del Popolo in contrasto con l’antistante Duomo con cui sembra dialogare. I rimandi vanno alla purezza di Villa Savoye di Le Corbusier, ma anche a Malevič. L’edificio non è sospeso sui pilotis, ma poggia sul suolo, alleggerito da bucature e trasparenze che ne svelano la profondità. Le facciate sono ricoperte in marmo bianco, materiale tipicamente “italiano”. L’altezza della costruzione è metà della base. La facciata sulla piazza è caratterizzata da quattro ordini di logge che creano un effetto di trasparenza e continuità con l’esterno in questo alternarsi tra pieni e vuoti rettangolari e disegnano una griglia sottile. Questa contrasta con la parete piena sulla destra (destinata a contenere l’immagine di Mussolini). L’interno è coperto da un lucernario che illumina il salone centrale, un grande spazio vuoto attorno al quale si dispongono i piani superiori. Infatti questo vasto salone centrale, alto due piani e coperto da un solaio in vetro-cemento da cui penetra la luce, funge da piazza interna, conformando una corte centrale che rimanda alla tipologia dell’atrio delle ville romane o ai palazzi rinascimentali. L’esasperata geometrizzazione della struttura allude simbolicamente a quel formale ritorno all’ordine promosso dal Fascismo. |
|
GIOVANNI MICHELUCCI (1891 – 1991)
Inizia la sua carriera con uno stile eclettico, che va poi via via razionalizzando. STAZIONE DI S.M.N. (1932 – 1935). Il progetto conteneva elementi di grande scandalo, tanto da venir definito “uno scatolone da imballo” per la semplicità dell’impianto. Michelucci risolve in maniera esemplare il problema dell’inserimento di un edificio moderno in un contesto storico come quello del centro di Firenze. E’ un edificio razionalista, ma non ha niente a che vedere con Wright perché quella di Michelucci è un’architettura della massa (tema tipico dell’architettura fiorentina da sempre). L’uso del calcestruzzo armato, le ampie vetrate, le strutture in acciaio brunito, consentono al progetto una precisa funzionalità e la congiunzione dell’antico al moderno. Per esempio la scelta di rivestire l’edificio in pietra forte, richiama l’antistante Basilica di Santa Maria Novella. Il volume chiuso viene impreziosito dai ricorsi orizzontali in pietra e da una sobria cornice. L’edificio fa da testa ai binari e racchiude la strada pubblica al suo interno, un’ampia galleria dove si concentra la vita della stazione. L’unico elemento che interrompe la continuità della pietra forte è la sorprendente “cascata di vetro” che si relaziona alle vetrate gotiche dell’abside di S. Maria Novella. Questa enorme vetrata copre la biglietteria e si prolunga nell’ingresso carrabile. La funzione delle aree determina la disposizione degli spazi e anche la scelta delle forme esterne. Dopo la 2° Guerra Mondiale Michelucci cambiò totalmente il suo stile diventando molto più “espressionista”. CHIESA DI S.GIOVANNI BATTISTA (1961 – 1964). E’ dedicata alle vittime del lavoro nella costruzione dell’Autostrada del Sole. La chiesa è volutamente collocata in un luogo di transito senza identità. E’ il contrappunto si sosta spirituale ai “non-luoghi” di sosta materiale come gli autogrill. La spazialità è totalmente plastica e non c’è niente di “stabilito”, non c’è assialità né ortogonalità. Fedele al rispetto dei materiali e degli usi locali, Michelucci sceglie la costruzione in pietra (tipica della Toscana), ma lascia a ogni muratore la libertà di mettere in opera i propri metodi della sua specifica area di origine. Da questo deriva la superficie che unitaria per colore e materiale, ma differente da muro a muro per tessitura e andamento delle pietre. Il suo tetto richiama le tende dei nomadi, perché l’uomo del XX secolo viene considerato il nuovo nomade. La copertura, in calcestruzzo armato rivestito esternamente di rame, assume la forma plastica di una grande vela. Questa da un lato poggia sulla muratura e dall’altro è puntellata da una selva di sottili pilastrini e bretelle in calcestruzzo. In quest’opera la sincerità costruttiva viene portata al massimo grado. Il cemento armato è brut e lascia vedere i segni delle casseforme. Michelucci sceglieva personalmente le assi di abete per costruirle, che lasciassero nel cemento i nodi e le imperfezioni che voleva lui. |
|
ADALBERTO LIBERA (1903 – 1963)
CASA MALAPARTE (1938 – 1943). E’ la casa per lo scrittore Curzio Malaparte sulla parte più aspra dell’Isola di Capri. Le linee sono nette, le geometrie semplici ed eleganti, i volumi sono elementari aggregati si misurano in armonia con l’intorno naturale. Nella forma allungata della costruzione si possono leggere dall’esterno due volumi puri: uno parallelepipedo regolare e l’altro trapezoidale strombato sotto i quali si sviluppano tre livelli, l’articolazione dei quali segue l’orografia del terreno e si integra in maniera quasi perfetta con l’ambiente. Il parallelepipedo viene “rotto” dalla gradinata, che sale ampliandosi sulla terrazza solare della copertura, ha una semplice armonia, che diviene parte delle strutture naturali della roccia e crea un eccezionale ambiente costruito. Infatti sembra nascere direttamente dalla roccia con l’imponente scalinata trapezoidale che conduce sul tetto a terrazza praticabile (segno dell’influenza di Le Corbusier). In questa casa la scala è l’edificio, non un semplice elemento di distribuzione. Questo fortissimo gesto formale consente di trasformare il terrazzo in una stanza a cielo aperto. L’abitazione si sviluppa su tre livelli: primo e secondo piano sono composti da ambienti di servizio e stanze per gli ospiti; al terzo piano c’è l’appartamento di Curzio Malaparte. La villa è costituita da un grande salone sulle cui pareti si aprono quattro grandi finestre, costruite in modo da offrire in ognuno un panorama diverso. Fu costruita interamente con la pietra locale e dopo l’accurata analisi dei modelli strutturali isolani e dei sistemi costruttivi adeguati alle condizioni geografiche. |
|