ARTE CINETICA
La società, alla fine degli anni ’50, sta diventando sempre più dinamica, niente è più fermo e immutabile, tutto è diventato accelerato e l’arte non può rimanere immobile. Se l’Informale era uno sfogo dell’inconscio, quasi autoreferenziale dell’artista, ora l’Arte Cinetica coinvolge l’osservatore da un punto di vista percettivo. Sono forme volutamente fredde e astratte che hanno senso solo nel rapporto con la nostra sfera psico-percettiva. Le opere nascono da ricerche ottico-cinetiche che ci stimolano, coinvolgendoci in un rapporto attivo che mette in gioco i nostri meccanismo sensoriali. La pittura di per sé è statica, ma i processi cognitivi e il pensiero dell’osservatore sono dinamici quindi anche l’arte deve assumere un ruolo dinamico e svilupparlo su scala ambientale e tridimensionale. Per alcuni artisti il movimento deve verificarsi a livello percettivo (un esempio sono le Composizioni di Vasarely), per altri il movimento è una possibilità insita dell’opera (per esempio nei Mobiles di Calder e nelle Macchine di Tinguely). Quindi sono opere che descrivono il movimento o che si muovono o che impongono il movimento allo spettatore. Alexander Calder, studia ingegneria e solo dopo al laurea si iscrive a una scuola di arte di New York. Nel 1926 va a Parigi dove, già affascinato dal tema del movimento, inizia a costruire i primi lavori cinetici. E’ in questa città che incontrerà e diverrà amico di artisti del calibro di Joan Mirò, Jean Arp e Marcel Duchamp. Qui comincia a manifestarsi la visione personale di Calder della scultura che sarà all’origine di un gran numero di innovazioni artistiche a dir poco rivoluzionarie per i suoi tempi. Nella ricerca appassionata di superare le tre dimensioni spaziali, Calder arriva ad aggiungere alle sue opere la quarta dimensione del movimento e la quinta del sonoro, aprendo così nuove strade all’arte scultorea. E’ proprio lui il primo a rimuovere le sculture dai loro piedistalli per appenderle, facendole sembrare così fluttuanti nell’aria. Da questo momento inizia a concepire degli oggetti totalmente nuovi, le sculture mobili composta da elementi filiformi e sagome colorate sospese al soffitto chiamate “mobiles” (da pronunciare “mobìl”). Durante il soggiorno in Francia, Calder visitò anche lo studio di Piet Mondrian (nel 1930), un’esperienza che lo convinse ad abbracciare definitivamente l’arte astratta. Ai “mobiles” aggiunse altre sperimentazioni, come sculture astratte autoportanti (chiamate “stabiles”) e opere motorizzate. Gli elementi che inserisce Calder sono sempre sottili e di forma irregolare e bilanciano la struttura di filo metallico. Le sue opere sono un gioco delicato di pesi e contrappesi che oscillano con il solo spostamento d’aria creato dall’osservatore che si muove nella stanza. Si tratta di un concetto di scultura totalmente nuovo, libero dall’eredità del passato: l’opera non poggia per terra, non è fatta di marmo e non rappresenta nulla. E’ una scultura astratta e dinamica la cui bellezza sta nelle infinite forme che può assumere attraverso l’interazione con il visitatore e con l’ambiente intorno. Anche il visitatore partecipa attivamente al funzionamento dell’opera: senza la sua presenza la scultura non potrebbe prendere vita. |
JEAN TINGUELY
ALEXANDER CALDER
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OPTICAL ART
L’Optical Art è una corrente all’interno delle ricerche cinevisuali. È interessata agli effetti ottici della pittura, conferendo all’immagine un dinamismo ambiguo e un effetto illusionistico.
È particolarmente attenta ai fenomeni della percezione visiva e alle interferenze celebrali in condizioni di movimento percettivo. È una pittura basata sulle illusioni ottiche e sugli inganni visivi. Studia le reazioni percettive a forme geometriche campite con colori piatti e brillanti. Sono opere bidimensionali che provocano nello spettatore una reazione psicofisica usando segni instabili visivamente. Sono dipinti composti da linee all’apparenza semplici che si ripetono e sembrano pulsare e muoversi. In realtà sono motivi complessi, netti e nitidi che creano illusioni ottiche: i dipinti sembrano pulsare e tremolare. Usano forme geometriche semplici, colori piatti, patterns e textures visive bidimensionali, che suggeriscono la terza dimensione o il movimento. Produrre un’instabilità percettiva significa attivare lo spettatore inducendolo a partecipare all’opera. Lo scopo è quello di rendere lo spettatore consapevole del rapporto tra il dipinto e il modo in cui gli occhi e il cervello lo percepiscono e gli attribuiscono un senso. Vasarely, per esempio, crea composizioni astratte che presentano sempre trame geometriche che si deformano in modo da dare sensazioni dinamiche e tridimensionali: effetti di espansione e sprofondamento. La vibrazione delle superfici non è data solo dalla deformazione di una griglia geometrica, ma anche dagli accostamenti cromatici. Quello che vuole trasmettere allo spettatore non è un’emozione, ma una sollecitazione esclusivamente visiva. Vasarely indaga i meccanismi dell’illusione ottica e della percezione per creare immagini ipnotiche che propongono suggestioni visuali di movimento e tridimensionalità. Attraverso l’organizzazione di forme accostate secondo un rigoroso schema geometrico, l’occhio dello spettatore è portato a percepire elementi rientranti e sporgenti che creano illusionistici effetti prospettici e chiaroscurali. La cosa più sorprendente è che questi effetti, oggi realizzabili facilmente al computer, erano invece frutto di precisi calcoli matematici e dipinti poi con la tecnica tradizionale di olio o acrilico su tela. |
VICTOR VASARELY
BRIDGET RILEY
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