JEAN FAUTRIER (1898 – 1964)
E’ convinto dell’impossibilità di rappresentare la drammaticità degli eventi della 2° Guerra Mondiale con opere figurative. E quindi nelle sue opere troviamo ammassi di pasta cromatica trattati come materia scultorea. Già dagli anni ’30 tratta le sue tele con strati spessi di colla e colore bianco e poi usa anche cere e pastelli colorati. Lavora con la tela/tavola appoggiata in orizzontale perché usa la materia-colore in spessi strati, distribuendola con palette e spatole. Nascono quindi dei veri e propri bassorilievi. L’essere umano è ridotto al suo fondamento esistenziale (la materia). L’uomo non viene più considerato un essere razionale (considerato che la sua presunta razionalità ha portato alla 2° Guerra Mondiale), ma è un concentrato di materia che mostra tutta la sua pochezza. Queste considerazioni sono da pensare nel clima della filosofia dell’Esistenzialismo. I dipinti inquietanti e potenti, traggoni la loro forza espressiva da stesure di colore a volte dense e compatte, a volte rarefatte e rugose. L’autore usa colori a olio e polveri di pastello, con l’aggiunta di colle, cere o segatura. Dal 1920 al 1940 Fautrier dedica i suoi quadri allo sviluppo di un embrione alla rovescia, indietreggiando da una fase avanzata fino a una fase iniziale, molle e informe. Il colore si raggruma al centro del dipinto, questo non è scindibile dallo spessore e dalla consistenza. C’è un tentativo di andare oltre la bidimensionalità, infatti l’autore ricorre a una “pasta” in aggetto distribuita con un coltellaccio con il quadro steso su un tavolo e affrontato indifferentemente dai quattro lati. JEAN DUBUFFET (1901 – 1985) Dubuffet è attratto dall’arte degli alienati e dei bambini, cioè di tutti coloro il cui istinto non è stato imbrigliato dalle norme della ragione. Dal 1945 l’autore stesso definisce il suo stile “Brut Art”, un’arte rozza nel senso di originaria (espressiva e immediata), non mediata da un pensiero consequenziale. La sua è una figurazione elementare e regressiva mai dogmatica e vicina a uno spirito giocoso. Il suo linguaggio è spontaneo, privo di elaborazioni razionali, carico di un’energia “bruta” assimilabile a quella delle rappresentazioni primitive, degli scarabocchi infantili o all’arte creata dai malati di mente. Infatti le sue opere sono costellate da personaggi immaginari che partono dalla sfera inconscia che appartiene ai soggetti non totalmente consapevoli di ciò che fanno come i bambini o i malati di mente. Dubuffet è appassionato a questi tipi di arte perché li considera forme espressive dirette che non recavano tracce di contaminazioni da parte di convenzioni artistiche. Disprezzando ciò che considerava un universo artistico elitario e snob, Dubuffet promuoveva gli istinti dell’uomo comune. Secondo lui la società occidentale e la cultura francese avevano cospirato per indottrinare le masse e indurle al conformismo, fondato su una solida venerazione per i capolavori del passato, mentre non doveva esistere un singolo standard di eccellenza e, pertanto, nemmeno una gerarchia estetica. Usa spesso materiali come il gesso, la sabbia, la terra, che mescola al colore a olio. MUCCA CON IL NASO SOTTILE (1954). Rappresenta perfettamente l’estetica di Debuffet che esaltava ciò che era fuori moda, non realistico e disarmonico. Infatti si tratta di una figura grottesca, come se fosse stata dipinta da un bambino o da un malato mentale. Il tratto è nervoso, la superficie estremamente disomogenea e la mucca, dall’aspetto naif e dagli occhi a forma di luna, si inserisce goffamente nella cornice senza alcuna relazione con lo sfondo. L’immagine agisce a un livello viscerale, evocando fragilità e vulnerabilità e risultando allo stesso tempo ridicola. Assistiamo al recupero di una specie di livello zero della pittura, di coloro che sono fuori dalla società. |
|