ECOLE DE PARIS
Parigi, agli inizi del Novecento, rappresenta la culla delle Avanguardie a livello mondiale; è una città aperta e libera, animata da una committenza pronta a recepire e a promuovere nuovi linguaggi artistici. Per questo motivo diventa la meta di molti artisti e intellettuali che confluiscono qui da tutta Europa.
Soprattutto il quartiere di Montparnasse diventa il centro di convergenza di una serie di artisti ebrei emigrati a Parigi per scampare alla fame e ai regimi. Molti di loro vivono in condizioni estremamente misere, conducendo una vita da bohémiens, disordinata e anticonformista.
Non è un gruppo d’avanguardia compatto con uno stile simile, ma sono vari artisti stranieri e autodidatti che si trovano a Parigi agli inizi del Novecento, si conoscono e solidarizzano per il loro destino comune e non per una consonanza intellettuale. Quindi con la definizione “École de Paris” non si vuole definire uno stile unitario, ma un clima libero, animato da voci e proposte artistiche eterogenee.
Sono artisti che proseguono la loro ricerca artistica senza curarsi dei linguaggi allora dominanti o declinandoli in modo del tutto personale (anche in relazione alla formazione e alle tradizioni del loro paese d’origine).
Questi pittori si disinteressano ai temi sociali e politici e scavano nelle tensioni esistenziali. Le tradizioni dei singoli paesi d’origine si contaminano con quelle più comunemente accettate a Parigi.
Soprattutto il quartiere di Montparnasse diventa il centro di convergenza di una serie di artisti ebrei emigrati a Parigi per scampare alla fame e ai regimi. Molti di loro vivono in condizioni estremamente misere, conducendo una vita da bohémiens, disordinata e anticonformista.
Non è un gruppo d’avanguardia compatto con uno stile simile, ma sono vari artisti stranieri e autodidatti che si trovano a Parigi agli inizi del Novecento, si conoscono e solidarizzano per il loro destino comune e non per una consonanza intellettuale. Quindi con la definizione “École de Paris” non si vuole definire uno stile unitario, ma un clima libero, animato da voci e proposte artistiche eterogenee.
Sono artisti che proseguono la loro ricerca artistica senza curarsi dei linguaggi allora dominanti o declinandoli in modo del tutto personale (anche in relazione alla formazione e alle tradizioni del loro paese d’origine).
Questi pittori si disinteressano ai temi sociali e politici e scavano nelle tensioni esistenziali. Le tradizioni dei singoli paesi d’origine si contaminano con quelle più comunemente accettate a Parigi.
MARC CHAGALL (1887 - 1985)
Di origine russa, si trasferì a Parigi nel 1911 dove entrò in contatto con gli stimoli delle Avanguardie. Rimase affascinato soprattutto dalla scomposizione formale cubista e dall’uso del colore degli espressionisti francesi.
Chagall non appartiene a nessuna correte anche se la sua pittura raccoglie le suggestioni degli artisti conosciuti a Parigi. Ha i colori sgargianti dei Fauves, ma non è espressionista perché il colore non è l’unico protagonista delle sue opere, che sono piene di simboli personali. Usa una scomposizione dell’immagine cubista, ma il risultato a cui giunge ha a che fare col modo in cui frammentiamo e uniamo i ricordi. Non è surrealista perché nega qualsiasi consonanza col gruppo. Inoltre non è influenzato dalla psicoanalisi, perché le sue immagini non procedono per associazioni inconsce, ma per ricordi ben consapevoli. Coniuga le suggestioni formali delle Avanguardie con il proprio patrimonio culturale d’origine, alimentato dai ricordi dell’infanzia e dalle atmosfere fantastiche dei racconti della tradizione popolare ebraica: un mondo popolato da capre, asini, galli, uccelli, violinisti e acrobati; in cui ogni soggetto è un simbolo e ha un significato particolare. Le sue opere hanno un “vocabolario” che spesso si ripete. Le figure sono spesso capovolte o composte senza alcuna prospettiva, perché rappresenta un mondo in cui non ci sono divisioni tra ciò che è fisico e ciò che è spirituale. Un mondo che non segue la forza di gravità, poetico e ricollegabile all’ingenuità infantile e alle fiabe, pieno di colori vivaci e gioiosi. Il mondo di Chagall è poetico e si ricollega all’ingenuità infantile e alle fiabe. AUTORITRATTO CON SETTE DITA (1911 – 1912). Chagall si ritrae nel suo studio mentre sta dipingendo non ciò che vede dalla finestra (la Tour Eiffel e la Parigi moderna), ma ciò che vede in una nuvola di pensieri opposta alla finestra: un villaggio russo con una chiesa, una mucca e una contadina. La faccia di Chagall sembra assorta, gli occhi non sembrano vedere – guardare verso l’esterno. Quegli occhi guardano cose che appartengono non alla realtà circostante, ma alla memoria. La mano sinistra del pittore, la mano dalle sette dita, sembra proteggere/custodire le figure e il mondo della memoria, rappresentato nel quadro finito. In Yiddish però, l’espressione “fare una cosa con le sette dita” vuol dire farla con il massimo dell’applicazione. Il quadro sul cavalletto rappresenta una scena di vita contadina, ma rappresentata in modo piuttosto fantastico con figure gioiose a tal punto da sembrare così leggere da volare. Il vecchio villaggio contadino russo ritorna due volte nel dipinto. La prima volta nel quadro sul cavalletto (come elemento della memoria), la seconda volta avvolto da nuvole, in alto a destra (come elemento immaginato). IL COMPLEANNO o L’ANNIVERSARIO (1915). Un uomo, con gli occhi chiusi, si solleva per raggiungere la sua amata che, quasi sorpresa, lo guarda ricambiando il bacio. Chagall è influenzato dai cubisti nella scomposizione delle immagini e nella forzatura dei confini della prospettiva tradizionale. Mentre la conoscenza dei Fauves e di Matisse lo influenza nella raffigurazione delle emozioni attraverso il colore. I colori vivaci danno l’idea dell’allegria della scena. Sogno e realtà si mescolano perché la stanza e gli oggetti quotidiani sono “illuminati” dalla felicità e dall’amore. Entrambe le figure sono sospese in aria, come librate in volo, uniti unicamente dall’incontro delle loro labbra. I volti sono rappresentati con profili semplici ed essenziali e scomposti in modo da ricordare il Cubismo e l’arte egizia. Il bacio è così intenso che si ha la sensazione che i due volti si fondano tra loro, diventando un unico volto visto frontalmente. I capelli scuri di entrambi evidenziano il legame che li unisce. I colori sono compatti, caratterizzati da evidenti contrastati (bianco, rosso, nero) e tutta l’opera è velata da una dimensione di fantastico. Viene anche evidenziato il legame con al realtà quotidiana, dalla quale il dipinto prende vita, attraverso gli oggetti domestici nella stanza minuziosamente riprodotti. LA PASSEGGIATA (1917 – 1918). È un omaggio all’amore e si riferisce esplicitamente alla felicità dell’artista per il suo matrimonio con Bella. Il pittore si raffigura al centro e guarda direttamente l’osservatore con un largo sorriso che esprime tutta la sua gioiosa felicità. Nella mano destra tiene un uccellino, mentre la sinistra è sollevata e fa librare nell’aria la moglie, che sembra pronta a spiccare il volo, simboleggiando la felicità dell’amore coniugale. Il volto della donna è sereno, rilassato, per niente stupito da questa strana situazione. Anzi ci appare appagato e consapevole di ricevere tutte le attenzioni del suo innamorato. Nell’angolo in basso a sinistra c’è una tovaglia rossa, con mazzi di fiori variopinti, su cui si trovano una bottiglia e dei bicchieri. Sullo sfondo vediamo una cittadina, il cui paesaggio urbano è semplificato secondo le indicazioni di Cézanne e si ispira liberamente ai quadri cubisti. Infatti vediamo le case del villaggio scorciate contemporaneamente da più angolazioni. I colori vivaci spiccano nettamente sul fondo verde e questo contrasto dà vivacità all’intera composizione. I colori non realistici vogliono indicare che l’autore non rappresenta uno spazio oggettivo, ma una dimensione irreale, frutto della sua fertile immaginazione. Il dipinto è un inno alla felicità. Chagall ci vuole dire che l’amore che lega lui e la moglie è immenso e non ha confini, come suggerisce la diagonale delle loro braccia che travalica la cornice suggerendo una continuazione al di là del confine fisico della tela. |
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AMEDEO MODIGLIANI (1884 - 1920)
Dopo una fase di formazione a Firenze e a Venezia, nel 1906 si trasferì a Parigi, dove rimase molto colpito dalle opere di Cézanne.
Inizia come scultore e questo si vede anche quando dipinge perché crea figure volumetriche. I suoi soggetti (nudi o ritratti) non sono mai contaminati dalla denuncia sociale. L’anatomia caratteristica delle opere di Modigliani è ottenuta accentuando le geometrie (colli troppo lunghi, seni troppo sferici, occhi vuoti come quelli delle statue), ma non è effettuata per deformare la realtà visiva, ma perché il pittore vuole nobilitare le figure. Gli occhi senza pupille hanno sguardi persi nel vuoto e sospendono le figure in una dimensione atemporale e silenziosa. I contorni sono tracciati sopra a un disegno precedente meno sicuro, quindi la rigidità delle linee non scaturisce da un moto istintivo, ma qualcosa di voluto, il risultato di una ricerca. I colori riempiono poi queste forme in modo piatto e deciso, senza chiaroscuri né contrasti troppo forti. Sono terrosi e ispirati a una volontà plastico-costruttiva, uniti a tinte squillanti che danno eleganza. Potrebbero apparire ritratti inespressivi, invece i toni caldi della pelle che risaltano sullo sfondo grigio e la leggera inclinazione della testa danno alle donne di Modigliani un senso di autenticità e di forte personalità. NUDO CON CAPELLI SCIOLTI (1917). L’anatomia è resa solo col colore, senza l’uso del chiaroscuro. L’uso di tinte calde conferisce all’immagine una notevole carnalità. I tratti del viso rimandano alla scultura egizia e agli idoli arcaici. La tela sprigiona una prorompente sensualità. La modella si offre allo sguardo dello spettatore senza inibizioni o timori. Il viso è esaltato dal rossore sulle gote e la linea di contorno evidenziando il perimetro delle forme della figura. Il volto e il collo allungati (secondo lo stile tipico di Modigliani) risentono dell’influenza della scultura primitiva africana e sono incorniciati dai capelli neri sciolti sulle spalle. |
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CONSTANTIN BRANCUSI (1876 - 1957)
Terminati gli studi in Romania, sua terra di origine, Brancusi arrivò a Parigi nel 1904.
A Parigi rimane influenzato dal Cubismo non per la frammentazione degli oggetti, ma per l’estrema semplificazione geometrica delle forme. L’altra grande influenza sul suo stile è quella esercitata dall’arte primitiva. Le sue opere derivano dalla progressiva semplificazione delle forme naturali in superfici perfettamente levigate che assumono un valore simbolico. Brancusi tralascia la rappresentazione realistica per ricercare la struttura primaria dei soggetti attraverso una progressiva astrazione. Persegue quindi il fine dell’essenzialità volumetrica in modo distaccato, cercando nella forma la purezza. Lavora su pochi soggetti, che ripete nel corso degli anni, soprattutto su un modulo ovaleggiante e allungato. LA MUSA ADDORMENTATA (1910). Le muse, nella mitologia greco-romana, sono le nove dee che proteggono le arti e le scienze. Il sonno è il pretesto per aprirsi ai sogni, alle allucinazioni e al mistero. La testa reclinata, più che coricarsi per un sereno riposo, è l’espressione di uno stile ridotto all’essenziale, nella sua estrema sintesi, con le sue forme pulite e allungate. Soltanto le leggere piegature del bronzo consentono di riconoscere i tratti stilizzati del volto. Diventa una specie di maschera tribale, un idolo arcaico. Questa scelta rivela il rapporto dell’artista con le culture primitive. LA MAIASTRA (1912). E’ un uccello mitico delle fiabe popolari rumene che parla, cambia forma e salva gli eroi dagli incantesimi. Questo uccello viene riproposto da Brancusi, come soggetto delle sue opere, in una trentina di sculture. L’uccello ha il petto gonfio, il collo teso e la bocca aperta come se stesse cinguettando. Qui sembra appollaiato su un piedistallo a zig-zag. Quindi la figura è dominata da linee curve mentre la base è geometrica, questo crea un forte contrasto tra il rigido simbolo di stabilità e il cilindro e le altre forme curve. Tra il collo arcuato e le ali chiuse, il torace espanso dà alla figura un aspetto araldico e solenne. La sua forma è una sintesi estrema e lineare della sagoma di un uccello. I particolari espressivi sono eliminati, come se finissero racchiusi nella linearità stessa della forme e nella levigatezza della superficie. La superficie levigata e riflettente dell’ottone evoca il piumaggio dorato generando un bi lanciatissimo gioco di luce che crea una forma plastica di grande armonia e sintesi, dove la naturalezza delle forme arrotondate dialoga con la precisione delle linee incise. LA COLONNA SENZA FINE (1937). Lo stesso elemento geometrico, simile a un piedistallo, viene ripetuto infinite volte, innalzandosi fino a 30 metri di altezza. Non ha un centro, un inizio e una fine e riprende le antiche forme lignee dei pilastri che sostengono le case tradizionali rumene, oppure un totem intriso di richiami ancestrali e innalzato verso l’infinito. UCCELLO NELLO SPAZIO (1940). Si assiste a un progressivo processo di purificazione della forma. Ora ogni traccia naturalistica è scomparsa per dar luogo solo a una forma sottilissima e slanciata nello spazio. La stilizzazione con la quale Brancusi giunse a una forma pura è quella che lui stesso aveva incessantemente ricercato nell'arte popolare e in quella dei primitivi. Attraverso diversi gradi d'astrazione arriva a questa forma. Ma ciò che il volatile rappresenta è proprio davanti agli occhi: la leggerezza dell'uccello che inizia a librarsi in volo con eleganza, lo slancio, il moto ascensionale, la spinta verso il cielo. |
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CHAIM SOUTINE (1893 - 1943)
Anche Soutine è un artista russo che si stabilì a Parigi nel 1912. A differenza di Chagall però abbandona ogni riferimento iconografico alla cultura del proprio paese d’origine e sviluppa una ricerca di forte carica espressionista.
Personalità eccentrica ed emarginata, anche lui visse in condizioni economiche estremamente precarie, conducendo una vita di stenti e privazioni e segnata da un profondo disagio esistenziale. All’inizio si dedica al tema del paesaggio, facendogli assumere un aspetto apocalittico e tempestoso. Dopo lavora sulle nature morte, quasi esclusivamente con animali e bestie da macello. Già i suoi quadri giovanili non lasciano indifferenti, hanno colori vividi, stesi copiosamente sulla tela, che finiscono per pulsare agli occhi dell'osservatore e rendere quasi palpabili i suoi soggetti, solitamente non convenzionali. Soutine era attirato dai processi di decomposizione, il graduale passaggio dalla vita alla morte e si aggirava spesso per i mercati alla ricerca di carne in putrefazione, carcasse, animali morti, da cui traeva ispirazione per dipingere opere di forte impatto espressionista realizzate con una pennellata rapida, violenta e infuocata. Si interessò anche ai ritratti, quasi sempre di personaggi di bassa estrazione e “in divisa” (chierichetti, pasticceri, fattorini); disagio, senso di solitudine ed emarginazione sono i protagonisti di questi ritratti. L’uniforme rende anonimo il soggetto e lo classifica socialmente, ma offre anche il pretesto pittorico per usare colori accesi, tra cui primeggia il rosso. Gli sfondi sono uniformi e dalle divise emergono solo faccia e mani, quasi sempre incrociate sulle gambe, quest’ultime esageratamente grandi e protese in avanti, tormentate da pennellate contorte e da colori lividi. Anche i visi risultano deformati, guardati a fondo, scorticati come nel corso di un’autopsia. IL FATTORINO (1925). Il giovane ha il volto trasfigurato, segnato da uno strabismo fisico che allude a quello interiore, quasi inciso nel corpo e nella materia pittorica con una pennellata nervosa e contorta che ricorda quella di Van Gogh.La figura è colta in una posa inusuale (per la ritrattistica tradizionale), con le gambe divaricate e le mani deformate e ossute sui fianchi. La divisa è di un rosso infuocato e la figura sembra fuoriuscire con intenso pathos dallo sfondo scuro che la avvolge. Il forte impatto visivo e l'abbattimento della barriera tra il soggetto e il pubblico sono ottenuti proprio con lo sfondo scuro e la tonalità usata per il soggetto. BUE SQUARTATO (1926). Per la realizzazione di questo dipinto Soutine attinse direttamente ai suoi ricordi del piccolo villaggio bielorusso, dove era nato e dove aveva seguito con attenzione le attività del locale addetto alla macellazione. Unì a questi ricordi le sensazioni assorbite dadi quadri seicenteschi sullo stesso soggetto (creati da Rembrandt e da pittori di genere italiani e fiamminghi) e la visione diretta di un quarto di bue acquistato in una bottega del paesino della Provenza dove allora risiedeva. La carcassa che campeggia sulla tela è dipinta con un rosso acceso ed è immersa in un fondo astratto blu scuro, a simboleggiare il malessere che lacera l’animo dell’artista e, allo stesso tempo, il male cosmico dell’umanità. Trasmette il senso di transitorietà della vita, ma anche gli istinti più reconditi dell'uomo e, al tempo stesso, mostra la notevole capacità tecnica dell'artista nell'usare diverse gradazioni di rosso stese in grandi quantità. Infatti i colori e le linee violente urlano la sofferenza personale dell’artista tanto quanto la tragedia dell’umanità intera. L’opera può essere dunque identificata come una ricerca di spiritualità, condotta attraverso l’esperienza terrena anziché mediante la religione. |
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