PIERO DELLA FRANCESCA (1415 - 1492)
Nativo di Arezzo, compì numerosi viaggi in varie città Italia, visitando Roma, Ferrara, Rimini, esercitando una forte ascendenza sulla cultura figurativa locale.
Nel corso della sua vita si dedicò allo studio della matematica e della geometria con una costanza e un'attenzione crescenti. Concretizzò poi i frutti di questi suoi studi in alcuni trattati, il più importante fu il "De perspectiva pingendi" che costituiva una guida pratica (corredata da incredibili disegni esplicativi) per affrontare i problemi prospettici nella pittura e nel disegno. La figura umana è la protagonista dei suoi dipinti ed è immersa in atmosfere nitide e rischiarate da una luce assoluta e metafisica. Accorda la visione prospettica con la geometrizzazione delle forme, alla ricerca di un'arte di assoluta precisione matematica e priva di ornamenti superflui. Piero della Francesca pone un'attenzione particolare alla struttura prospettica e ritmica delle composizioni e alla semplificazione geometrica delle forme. Intese quindi la pittura come campo di applicazione degli argomenti relativi alla rappresentazione prospettica dello spazio e del volume dei corpi solidi. Dipinse figure dai nitidi contorni usando colori puri e intensi, spesso equilibrati dai loro complementari illuminati da una luce tersa e cristallina che schiarisce le ombre e permea i colori. BATTESIMO DEL CRISTO (1440 – 1445). Emerge la conoscenza dell’opera del Veneziano e dell’Angelico, nello studio della luce e nello schiarirsi delle tinte quasi prive di ombre. Emerge anche la comprensione profonda della poetica di Masaccio, depurato però da ogni aspetto emotivo. Lo studio della prospettiva e delle proporzioni conferisce rigore formale alla scena, che assume per questo un valore extratemporale e assoluto. La figura di Cristo è al centro, sull'asse di simmetria della composizione così come la tazza tenuta da S. Giovanni Battista e la colomba dello Spirito Santo gli si allineano in verticale. L'opera però non raggiunge un effetto di simmetria rigida perché la nostra attenzione è catturata dall’alto fusto della pianta sulla sinistra che divide l’opera in due parti secondo le proporzioni auree. L'albero col suo fusto liscio e la grande chioma, isola ed esalta i tre angeli sulla sinistra. Cristo è rappresentato in vesti del tutto umane, senza aureola, sebbene la solennità della sua presenza suggerisca il divino. E’ in procinto di essere battezzato e ha un’espressione concentrata, questa viene evidenziata dalla luminosità che circonda la colomba dello Spirito Santo. La figura calma di Giovanni Battista, che versa l’acqua del fiume sulla testa di Gesù, rafforza l’atmosfera senza tempo. Il fiume riflette ogni dettaglio, dal cielo azzurro alle nuvole bianche, alle vesti colorate delle figure sullo sfondo, aggiungendo alla scena un effetto luminoso drammatico. All’ordinata composizione si aggiunge l’uso di colori chiari e illuminati da una luce che indaga senza formare forti chiaroscuri. C’è un interesse “plastico” anche nel modo di trattare le figure umane, che sono riconducibili a forme geometriche. Il tutto è caratterizzato da una semplicità monumentale. Cristo è posizionato perfettamente al centro del dipinto, l’albero sulla sinistra bilancia la forma solida di Giovanni Battista, mentre gli angeli formano un gruppo semicircolare a sé stante. Piero della Francesca rappresenta un universo calmo, congelato, senza il minimo movimento. Protagonista assoluta dell'opera è la luce che arriva dall'alto e annulla ombre e contorni, definendo in modo perfettamente nitido le figure, simili a sculture, e il paesaggio. LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO (1453). Si tratta di uno dei dipinti più enigmatici dell'artista. Perché Piero della Francesca usa qui una composizione anomala che relega l’episodio della Flagellazione in secondo piano, all’interno di un portico classicheggiante. Quindi, pur essendo il soggetto principale del quadro, l’artista non la mette in primo piano, ma in fondo allo spazio. Mentre mette in primo piano, decentrati sulla destra, tre figure di cui ancora non è esattamente chiara l’identità che non si guardano negli occhi né si parlano e sembra non si accorgano di chi, laggiù sullo sfondo, attaccato a una colonna viene torturato. Si tratta di un ribaltamento dei ruoli sorprendente: per la prima volta gli esseri umani raffigurati in un dipinto sono più importanti della figura di Gesù. È un capolavoro di equilibrio compositivo, fondato sulla proporzione aurea. Piero della Francesca usa l’architettura per comporre la scena: la colonna divide in due scene il quadro (ed è posizionata in modo da creare una proporzione aurea tra le due parti del dipinto). A sinistra c’è la flagellazione (congelata, senza movimento né resa del dolore), a destra ci sono tre personaggi. Queste tre figure a destra sono caratterizzate come "tipi" diversi per età, ceto sociale ed etnia: un greco in abiti orientali, un giovane vestito all'antica, un uomo di profilo vestito elegantemente. Tutte le figure sembrano immobili e la scena cristallizzata nel tempo, congelata, senza movimento né dolore. MADONNA DEL PARTO (1455). La Madonna è disposta di tre quarti perché risulti ancora più evidente la sua gravidanza e con la mano destra si accarezza il ventre con gesto di pudore e protezione, ma anche di consapevole fierezza. L’umanità toccante della Vergine, colta mentre si tocca il ventre gravido, viene calata in un contesto di solennità ieratica. A ciò concorre la corrispondenza dei vari elementi del dipinto (specularità dei due angeli e dei lembi sollevati della tenda) e la forte geometrizzazione di figure e oggetti. L’interesse per le simmetrie è particolarmente evidente in quest’opera, dove i due angeli che tengono i lembi del tendone sono stati dipinti sulla base dello stesso cartone rovesciato. Inoltre nei loro abiti e nelle loro ali i colori sono alternati. STORIE DELLA VERA CROCE (1452 – 1459). Dal lungo e ricco racconto sulle vicende miracolose del legno su cui fu crocifisso Gesù (la Vera Croce), Piero della Francesca sceglie di rappresentare solo alcuni episodi, quelli più spettacolari e secondo lui adatti alla raffigurazione in affresco e allo spazio della cappella, ma soprattutto volti a ricollegare il significato religioso con le vicende politiche contemporanee. Gli affreschi sono posti su tre livelli sulle pareti laterali e sul fondo, senza alcuna intelaiatura architettonica. Le storie della Vera Croce sono narrate dagli avvenimenti della Genesi fino all'anno 628, quando il legno della santa Croce, dopo essere stato rubato, venne riportato a Gerusalemme. In base a questa volontà di collegare e paragonare gli episodi della leggenda con un preciso significato politico e religioso, l’organizzazione delle scene, anziché svilupparsi secondo il tradizionale percorso lineare del racconto, segue un ordine geometrico di simmetria dove gli episodi sono disposti a coppie contrapposti. In tutte le scene si trasmette un forte senso di solennità, ogni azione è come bloccata, i personaggi sono molto composti e inseriti in uno spazio prospettico perfetto. Le forme vengono riassunte in solidi geometrici e anche i colori, luminosissimi, seguono un ritmo preciso. Il SOGNO DI COSTANTINO è il primo notturno della pittura italiana. Qui si coglie l’interesse per le ricerche fiamminghe sulla luce. Il primo piano è scuro per dare profondità all’opera. Un angelo, dipinto in controluce, piomba sull’accampamento di Costantino, rischiarando con un fascio luminoso (la luce sembra provenire quasi dal suo volto), la tenda dell’imperatore. Vera protagonista della scena è infatti la luce, che sembra emanare dalla croce stessa, accendendo la tenda e il giaciglio imperiale, lasciando invece in ombra i soldati e lo sfondo. Si tratta di una luce "mistica", come si trova in altre opere di Piero: si tratta infatti di un passaggio tra l'"ombra" del paganesimo e la "luce" della ragione cristiana, che trasfigura l'apparizione come un evento essenzialmente luminoso. RITRATTI DI FEDERICO DA MONTEFELTRO E BATTISTA SFORZA (1465). I coniugi sono rappresentati di profilo, uno di fronte all’altra, in maniera contemporaneamente realistica e idealizzata. E’ realistica la raffigurazione della forma esatta dei due profili, delle rughe e degli altri piccoli difetti del volto; è idealizzata la scelta del profilo che si staglia sul cielo dando un senso di immobile solennità ai due personaggi. I colori sono chiari, luminosi e rendono i corpi e le figure quasi delle statue di avorio. Il chiaroscuro inoltre è presente ma è molto delicato e rende i volumi solidi ma non pesanti. Il paesaggio sullo sfondo allude ai domini dei due nobili. Il quadro che vede affrontati i duchi di Urbino è dipinto anche sul retro con due “trionfi”: la Fama per l’uomo e la Castità per la donna. Vediamo infatti i volti dei signori di Urbino con i volumi nitidamente definiti da una luce fredda e tersa, questi si stagliano sullo sfondo di paesaggi descritti minuziosamente fino in lontananza. Questa scelta è di derivazione fiamminga come anche la volontà di rendere tangibile la stoffa degli abiti e il preziosismo dei gioielli. PALA DI MONTEFELTRO (1475). Si tratta di una pala d’altare che rappresenta una Sacra Conversazione, gli fu commissionata da Federico da Montefeltro dopo la morte della moglie. È una sintesi di tutte le sue ricerche artistiche. Piero della Francesca colloca al centro di una cappella rinascimentale, come in un’apparizione, la Madonna col Bambino seduta in trono e circondata da santi e angeli. Federico, inginocchiato, assiste in preghiera con indosso l’armatura. Nel catino absidale che conclude la volta a botte è scolpita una grande conchiglia. La disposizione dei personaggi è a semicerchio, seguendo l’andamento ricurvo dell’abside, creando una corrispondenza con le modanature architettoniche, evidenziando inoltre la profondità della scena e isolando al centro la Madonna. Questa domina la scena anche perché le linee di fuga della prospettiva centrale usata per costruire lo spazio, convergono verso il volto della Vergine. L’opera è perfettamente simmetrica. L’unica figura che non rispetta la simmetria è proprio quella del duca perché lui non fa parte della scena sacra rappresentata. Infatti il duca, inginocchiato a destra, fa da intermediario tra mondo divino e mondo terreno. La totale assenza di movimento da parte dei personaggi e la purezza di linee dell’architettura rendono l’idea del silenzio e dell’immobilità della scena. L’opera è lontana dagli esiti della pittura fiamminga perché è ingabbiata in una rigorosa griglia geometrica. Ma in comune con i fiamminghi notiamo la sensibilità luministica e la minuziosa resa dei particolari. La luce è fredda e cristallina e i personaggi sono sereni e immobili. L’architettura di fondo è classicheggiante e unita alla disposizione dei personaggi fa sentire l’osservatore dentro l’opera. Ogni aspetto del dipinto, in realtà, ha un significato complesso e intellettualistico. Per esempio l’uovo di struzzo, sopra la Madonna e il Bambino, secondo alcuni rappresentala vita e la rinascita; secondo altri è un richiamo alla forma del volto di Maria. O forse sta lassù perché faceva parte dello stemma della casata di Federico di Montefeltro, duca di Urbino e committente dell’opera (raffigurato in preghiera in basso a destra). |
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ANTONELLO DA MESSINA (1430 - 1479)
Si forma nel Regno di Napoli, dove c’era una corte cosmopolita e grazie a questo sviluppa uno stile ricco di influenze diverse. Il suo stile nasce dall’incontro, nella composita cultura dell’Italia meridionale, della pittura delle Fiandre con il rigore prospettico di Piero della Francesca.
La sua è una pittura virtuosistica, fatta di sottili gradazioni e velature. Imparò l’uso della pittura a olio dai fiamminghi, poi andò a Venezia dove portò (e fece conoscere) questa tecnica. RITRATTO D’UOMO (1473). L'opera ritrae un uomo sconosciuto, di rango sociale medio-alto a giudicare dall'abbigliamento: la giubba in pelle lascia intravedere la camicia bianca, mentre in testa l'uomo tiene una berretta rossa di panno. Rinnova a fondo la tradizione italiana del ritratto di profilo di matrice classica. La figura è messa di tre quarti, secondo un’impostazione introdotta dai pittori fiamminghi. Rispetto ai maestri fiamminghi ha una maggiore sensibilità spaziale e volumetrica che modella le figure come solidi geometrici e che però non fa perdere l’attenzione sui dettagli minori. Inoltre, a differenza delle opere fiamminghe, Antonello impostò anche una salda impostazione volumetrica della figura, con semplificazioni dello stile "epidermico" dei fiamminghi che permette di concentrarsi su altri aspetti, quali il dato fisiognomico individuale e la componente psicologica. Le forme del viso sono definite con chiarezza, ma ciò che cattura la nostra attenzione è lo sguardo che arriva a raccontarci la psicologia del personaggio. Si concentra sulla resa psicologica del personaggio, svelata dalla luce. La luce è radente ed illumina l'effige come se si affacciasse da una nicchia, facendo emergere gradualmente i lineamenti e le sensazioni del personaggio. L'uso dei colori ad olio permette poi un'acuta definizione della luce, con morbidissimi passaggi tonali, che riescono a restituire la diversa consistenza dei materiali. SAN GEROLAMO NELLO STUDIO (1474). E’ una sintesi perfetta di prospettiva e di luce. Il santo è ritratto (al di là di un arco) mentre sta leggendo un libro nel suo studio, una struttura lignea rialzata, al centro di un’ampia sala gotica descritta fin nella minima variazione luminosa. Quattro animali accompagnano il santo: un gatto, una pernice, un pavone e un leone. Il primo simboleggia gli istinti che bisogna saper controllare, il secondo la fedeltà di Cristo, il terzo la sapienza divina. Il quarto, il leone, è legato alla leggenda secondo la quale San Girolamo tolse una spina dalla zampa di un leone rendendolo, da quel momento, un compagno innocuo e fedele. L’illuminazione è molto complessa e secondo la tradizione fiamminga giunge sulla scena da diverse fonti. La luce principale proviene dal centro e sottolinea la fuga prospettica. Altra luce entra poi dalle finestre che si aprono sul fondo della stanza. A destra, la prospettiva del pavimento a piastrelle policrome è rafforzata dalle esili colonne sormontate da archi e volte che conducono il nostro sguardo verso le due aperture del fondo. La prospettiva è centrale e porta direttamente lo sguardo verso il Santo. A sinistra lo sguardo corre libero verso l’ampia finestra oltre la quale si vede un placido e dolce paesaggio. C’è un’estrema attenzione ai particolari, sia quelli del paesaggio naturale sullo sfondo sia nei tanti oggetti sullo scaffale. La minuzia dei particolari (spesso simbolici, come nelle opere fiamminghe) non toglie monumentalità all’insieme. L’opera è quindi frutto di un’intersecazione di dettagli fiamminghi e spazialità prospettica italiana. SAN SEBASTIANO (1476). San Sebastiano è frontale, ma con il busto leggermente rivolto a destra e il volto verso sinistra. Cinque frecce sono conficcate profondamente nel suo corpo. Una ha colpito il petto, due l’addome, una poi la coscia sinistra. Infine una trafigge la gamba poco sopra il ginocchio destro. Il Santo non sembra però soffrire del dolore inferto dalle ferite dalle quali fuoriescono sottili rivoli di sangue. Piuttosto presenta un’espressione di tristezza e rassegnazione. La bellezza del corpo del santo, delicatamente chiaroscurato e dalle perfette proporzioni, non è compromessa dalle ferite delle punte che lo trafiggono. Non c’è contrazione dolorosa, i muscoli sono rilassati e su di essi scivola la luce come sulla colonna spezzata a destra. Alcune figure umane sono distribuite poi sulle abitazioni. E’ caratterizzato da una gamma cromatica luminosa e da una grande umanità , unite al rigore prospettico e all’analisi realistica. La scena del martirio di San Sebastiano si svolge tra alte architetture. Si tratta di uno spazio urbano, probabilmente una piazza di Venezia. Gli edifici sono costruiti in prospettiva come anche la decorazione del pavimento. La profondità, inoltre, è suggerita dalla progressiva diminuzione della grandezza delle figure dal primo piano allo sfondo. Il punto di vista dell’osservatore si trova molto in basso e contribuisce a rendere monumentale la figura di San Sebastiano. L’artista adottò alcune scelte stilistiche per dialogare consapevolmente con gli artisti veneziani e altri a lui contemporanei. Infatti sono presenti influenze da Piero della Francesca nella struttura geometrica e prospettica delle architetture e del pavimento ad intarsio. Il militare disteso ricorda i corpi rappresentati di scorcio da Andrea Mantegna come nel Cristo morto. Il corpo e il volto di San Sebastiano ricorda invece le morbidezze delle fisionomie create da Giovanni Bellini. Le influenze fiamminghe assorbite da Antonello, nel San Sebastiano si riscontrano nell’uso della luce che descrive dettagliatamente le superfici. ANNUNCIAZIONE (1476 – 1477). Tradizionalmente le scene che raffigurano l’annunciazione presentano due figure: l’arcangelo Gabriele e la Madonna. Il primo, sempre collocato a sinistra, comunica che Maria diventerà la madre di Cristo; questa, colta nell’atto di leggere un libro nella sua stanza, reagisce con gesto di paura. Qui compare solo la Madonna senza l’angelo e senza lo sfondo della stanza. La Vergine appare serena, è rappresentata come una donna normale che alza la mano, e lo sguardo, sorpresa. Il suo volto luminoso, modellato dalla luce, si staglia in mezzo al blu del velo e, con forza ancora maggiore, sullo sfondo nero del dipinto. La sintesi tra luce e prospettiva raggiunge esiti di toccante umanità. L’angelo non c’è, o meglio, lo sguardo di Maria ce lo indica: si trova al di qua della tela, inginocchiato a terra alla nostra sinistra. E’ quasi come se fosse al posto dello spettatore stesso e questa scelta conferisce un grande senso di mistero e di immedesimazione alla scena. La profondità dello spazio è ottenuta attraverso la visione ad angolo del tavolo e del leggio su cui poggia il libro, mentre il volume del personaggio è dato dal chiaroscuro sul volto e sul velo. Il dipinto presenta caratteristiche stilistiche tipiche delle opere fiamminghe: Maria è raffigurata di tre quarti, lo sfondo è scuro, la figura isolata e l’atmosfera sospesa. |
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ANDREA MANTEGNA (1431 - 1506)
La sua formazione avviene a Padova e qui rimane profondamente influenzato dalle opere di Donatello (soprattutto dall'Altare del Santo). Mantegna ne recepisce la potenza plastica delle figure e la capacità di unire rigore prospettico e citazioni dell'antico per arrivare a creare scenografie stupefacenti.
Dà vita a una pittura rievocativa della classicità caratterizzata da una forte plasticità e da sperimentazioni prospettiche nuove, impostate in chiave illusionistica. E’ interessato a due cose: lo studio dell’antichità (collezionava reperti antichi e spesso li inserisce nelle sue opere fino a farli diventare protagonisti quasi quanto i soggetti umani) e lo studio della prospettiva che applica in modo mai visto prima. Come Masaccio, Mantegna realizza immagini che suggeriscono uno spazio illusorio e tridimensionale. Il corpo umano è rappresentato come una scultura. La sua è una pittura sia di linea sia di volume. CAPPELLA OVETARI (1448 – 1454). La cappella era dedicata ai santi Giacomo e Cristoforo, con le due pareti laterali dedicate alle storie di ciascuno dei due santi, composte da sei episodi disposti su tre registri sovrapposti: registro inferiore, mediano e superiore, quest'ultimo composto da una lunetta a tutto tondo. Nonostante la molteplicità delle maestranze attive nel cantiere, non sempre chiaramente distinguibili, lo schema compositivo dell'intero ciclo viene riferito a Mantegna, che ideò probabilmente il sistema unitario di cornici architettoniche. In quest’opera confluiscono le ampie conoscenze antiquarie acquisite da Mantegna. Perché vuole ricostruire il mondo e lo spirito romano (attraverso la citazione di monumenti antichi, oggetti e lapidi) a cui, una rigorosissima applicazione della prospettiva, dà solennità e monumentalità (aumentata dalla scelta del punto di vista dal basso verso l’alto). Le scene sono organizzate secondo una precisa griglia prospettiva e dovevano stupire il pubblico per l’effetto illusionistico. Tra le innovazioni di questi affreschi ci sono anche l'uso di scorci vertiginosi e la ricchezza di figure. La tecnica si evolve gradualmente da un tratto duro e, in alcuni passaggi, delicato, a un tratteggio più denso e chiaroscurato, che dà alle figure la consistenza dei marmi e le pietre dure. Ciò, assieme all'impostazione monumentale "all'antica", contribuisce a dare alle figure umane una certa rigidità, che le faceva apparire come statue. PALA DI SAN ZENO (1456 – 1459). Sull'esempio dell'Altare del Santo di Donatello, Mantegna imposta la scena in una loggia aperta e vista dal basso. La Madonna presenta il Bambino su un trono di marmo ed è circondata da angeli cantori, musicanti e da santi. Il carattere rivoluzionario di quest’opera risiede soprattutto nella rappresentazione dello spazio e della prospettiva. Tale struttura monumentale e straordinaria che attraverso una loggia si affaccia su un paesaggio magistralmente realizzato è incastonata nell’altare maggiore della Basilica di San Zeno di Verona. Mantegna riesce a superare l'apparente divisione e concepisce uno spazio unitario e reale grazie al pavimento a scacchiera, alla trabeazione con finti bassorilievi e ai festoni dipinti. La Madonna con il Bambino non concentra su di sé tutta l’attenzione dello spettatore, in quanto la vera protagonista della pala è la stessa struttura architettonica, ricca di dettagli, adornata dalle trabeazioni e dai medaglioni inseriti sui pilastri che rimandano in particolare allo stile classico dell’altare maggiore della Basilica del Santo a Padova realizzato da Donatello. Infatti la prima cosa che ci colpisce è la loggia antica, architravata e decorata da un fregio continuo e da bassorilievi su pilastri. Ci sono spunti di grande virtuosismo pittorico, nella definizione dei panneggi scultorei, dei festoni di frutta e nella stesura smaltata del colore. La luce esalta la consistenza materica di oggetti, abiti e superfici. Anche qui la visione è da sotto in su per aumentare la monumentalità. Non di minore importanza è la predella con le tre scene della Passione che sintetizzano il messaggio cristiano: Orazione nell’orto, Crocifissione e Resurrezione di Cristo. CRISTO MORTO (1470 – 1475). Tradizionalmente questa scena religiosa si rappresentava da una distanza che esprimeva rispetto e solennità, con il corpo di Cristo disteso visibile in tutta la sua lunghezza. Qui invece la scena è rappresentata da una prospettiva nuova, da un’inedita visione frontale, fortemente scorciata, vicinissima al corpo di Cristo e precisamente ai suoi piedi, che sono in primo piano come se a guardare fosse un fedele in ginocchio. Il suo sguardo sembra trafiggere il corpo di Cristo dai piedi alla testa e coglierlo così nella sua interezza e in un attimo solo. Il corpo di Cristo occupa quindi quasi tutta la superficie del quadro, facendoci sentire chiusi in uno spazio opprimente. È rappresentato di colore grigiastro proprio come un cadavere. La prospettiva ravvicinata deforma il corpo che sembra accorciato. Il corpo morto di Cristo però non segue la stessa alterazione prospettica della lastra dove poggia perché altrimenti i piedi sarebbero stati enormi e la testa molto piccola e questo l’avrebbe resa un’opera inaccettabile e inopportuna per una figura importante come quella di Cristo. Una serie di correzioni anatomiche sono quindi utilizzate per evitare l’eccessivo restringimento del corpo che avrebbe reso difficile la lettura dell’opera. La composizione è triangolare e segue un disegno perfetto. Il forte contrasto di luci e ombre crea un profondo senso di pathos. Ogni dettaglio è amplificato dal tratto incisivo delle linee, costringendo lo spettatore a soffermarsi sui particolari più raccapriccianti come le membra irrigidite dal rigor mortis e le ferite ostentatamente presentate in primo piano. Il drappo che copre parzialmente il corpo crea un panneggio bagnato molto rigido che risalta le forme. A sinistra si vede San Giovanni che sta piangendo con le mani giunte in preghiera, la Vergine col volto molto rugoso che si asciuga le lacrime con un fazzoletto e un’altra donna che sta piangendo e si intravede a malapena, forse la Maddalena. Il punto di vista inconsueto e i dettagli realistici (come i fori dei chiodi su mani e piedi) riescono a dare al Cristo una dimensione molto umana, alla quale contribuiscono i volti di Maria e Giovanni, appena visibili, alterati dal dolore e dal pianto. Nessuno, prima di Mantegna, aveva raffigurato un Cristo morto così ferocemente drammatico e così straordinariamente umano. LA CAMERA DEGLI SPOSI (1465 – 1474). La stanza era adibita a funzioni di rappresentanza ed è un vano cubico interamente affrescato. Sulle quattro pareti Mantegna finge un loggiato con archi su pilastri e un basamento policromo. Due delle quattro pareti sono coperte da finti tendaggi, presenti anche nelle restanti, ma scostati per mostrare la corte dei Gonzaga e l’incontro di Ludovico col figlio Francesco (una veduta ideale di Roma fa da sfondo alla scena). Architettura reale e pittura concorrono a formare un insieme di grande solennità e ampio respiro. Il vano era piccolo e Mantegna ricorre ad artifici ottici per ampliarlo, usando la prospettiva a fini illusionistici. Le scene sono proposte come se si svolgessero su un palcoscenico aperto oltre le pareti reali. Il soffitto è affrescato in modo illusionistico, come se fosse aperto e si vedesse il cielo e le nuvole. Ha la forma di una cupola con un grande oculo aperto verso il cielo in cui vari personaggi (alcuni “fuori”, alcuni “dentro”) guardano verso lo spettatore, il tutto rappresentato “da sott’in su”. Anche i puttini (i bambini paffutelli nudi) aggrappati al parapetto seguono la stessa prospettiva, mentre alcune ancelle si affacciano a guardare sotto. Poi ci sono alcuni elementi simbolici, come il vaso di aranci e il pavone, che rimandano al matrimonio. SAN SEBASTIANO (1480). Il santo seminudo appare legato a una colonna con le frecce che gli penetrano il corpo e il volto. Il viso ha un’espressione di dolore e il colore del corpo poco si discosta dal bianco del marmo. Il San Sebastiano, inoltre, evidenzia le caratteristiche principali dello stile di Mantegna: il disegno marcato, una perfetta composizione e la monumentalità delle figure. Infine, alcuni dettagli sono estremamente realistici e rappresentano virtuosismi tecnici come la pelle del Santo stretta dalle corde. La vegetazione che invade le rovine, accuratamente disegnata, assume una consistenza scultorea quasi decorativa. Anche le nubi risultano fisicamente consistenti. L'imponente figura del santo domina l'immagine grazie al punto di vista ribassato. Il dipinto non manca, però, di comunicare al fedele il dramma del Santo. Mantegna dipinse alcuni dettagli che sottolineano il martirio come la pelle stretta dalle corde e trafitta dalle frecce. La passione dell’artista per il mondo classico si esprime nella rappresentazione delle rovine alle spalle del Santo. Anche la colonna a cui è legato il santo sembra una rovina classica e sullo sfondo c’è rappresentato uno scavo archeologico con rovine architettoniche. Si nota, infatti, una colonna con capitello corinzio con un frammento di architrave. Inoltre, a sinistra rimane traccia di un arco. In basso, a sinistra tra alcuni frammenti si scorge anche il piede di una statua. Nel dipinto predominano toni di grigio e ocra. I colori più saturi, invece, sono il rosso della veste e il giallo sulla manica dell’arciere. Sono usati molti contrasti di luminosità, sono presenti soprattutto nella parte sinistra dove le architetture in ombra e il brano di paesaggio assumono toni molto scuri. Mantegna nel dipinto riprodusse la luce esterna, diffusa dalle grandi nuvole bianche. Il Santo è illuminato da destra e dall’alto ed è posto in grande evidenza dall’ombra che si crea a sinistra. Infine, la luce illumina e rivela anche le architetture dello sfondo, a destra. |
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GIOVANNI BELLINI (1430 - 1516)
Spetta a lui il merito di aver trasformato, in senso pienamente rinascimentale, la pittura veneziana (ancora estremamente legata al Gotico). Bellini supera ogni residuo di goticismo e arriva a creare composizioni sintetiche e monumentali, emblemi di una vicinanza Dio-uomo.
Per il plasticismo e per l’intonazione drammatica, il suo modello è Donatello (visto a Padova). Bellini stende pennellate sovrapposte, sottilissime, quasi velature trasparenti. PIETA’ (1460). Al centro del dipinto si trova il corpo di Cristo ormai cadavere, riverso senza peso tra le braccia della madre e di San Giovanni. A sinistra, infatti, la Vergine lo sostiene e porta in alto il braccio del figlio destro ormai inerte. La Vergine e San Giovanni sembrano sostenere senza sforzo il corpo di Gesù. Questo dettaglio rivela una certa assenza di peso del cadavere deposto. Il suo viso è accostato a quello del figlio ed esprime un intenso dolore. San Giovanni si trova invece a destra del fronte dipinto. Anche la sua mano sinistra sostiene Cristo da un fianco. L’apostolo è però rivolto a destra e manifesta una intensa disperazione. Il suo viso infatti esprime una forte costernazione. Intorno al capo dei tre personaggi sacri è dipinta una aureola sottile. La mano di Cristo (con le stigmati in evidenza) ci “invita” a partecipare al momento. Bellini crea un tipo di illuminazione naturale, morbida e avvolgente. Infatti, l’effetto è quello di una chiara giornata cristallina. La luce proviene dal centro e crea ombre sui lati dei personaggi e tra le pieghe dei panneggi. La figura di Gesù è posta in grande evidenza grazie alla luce che lo illumina direttamente. La luce è quindi così chiara che i colori sembrano quasi indefiniti, il segno è duro e rigido. La profondità dell’immagine è resa grazie alla prospettiva di grandezza a sinistra. Il confronto tra le figure in primo piano e quelle dello sfondo permette, infatti, di valutare la loro distanza. Il punto di vista e l’inquadratura molto ravvicinata determinano un’importante monumentalità delle figure che dialogano in un clima di drammaticità. Pur nel persistere di durezze e di grafismi mantegneschi (nei panneggi, nei riccioli di San Giovanni, nella descrizione scultorea delle vene nel braccio di Cristo), l’opera si carica di un pathos intenso e umano a cui il paesaggio al tramonto sullo sfondo fa da cassa di risonanza. Bellini si concentra sull’espressione di Maria e San Giovanni. Anche le loro posizioni e il modo in cui sostengono il corpo di Cristo rivelano un’intensa lettura drammatica dell’evento. Questa cifra stilistica deriva dalla pittura fiamminga è infatti tipica degli artisti nordici una maggiore resa espressiva della fisionomia e della postura. PALA PESARO (1470 -1475). Viene rappresentata l’incoronazione della Vergine infatti vediamo Maria e Gesù seduti su un massiccio trono di marmo decorato. Gesù è seduto all’interno della struttura architettonica. Con il braccio destro alzato pone sul capo di Maria una corona in oro. La Vergine, invece, è seduta a sinistra. È chinata in avanti con le mani incrociate sul petto e porge il capo a suo figlio che la incorona Regina dei Cieli. Ai lati vi sono poi quattro santi: San Paolo e San Pietro a sinistra e San Francesco e San Girolamo a destra. Tutti i personaggi sono posizionati di tre quarti tranne San Girolamo. I personaggi sono delle pure masse di colore che variano in funzione della luce. L’atmosfera del dipinto è limpida. La predilezione per l’uso di morbidi passaggi luminosi e l’attenzione alla resa della luce sulle diverse superfici deriva dalla pittura fiamminga. Anche l’attenzione al dettaglio delle figure proviene da tale cultura pittorica. Lo spazio esterno nel quale si ambienta la scena dell’Incoronazione viene dilatato in larghezza e approfondito grazie all’espediente della cornice ricavata nello schienale del trono. In primo piano infatti ci sono ancora elementi architettonici, ma il trono si apre come una finestra sul paesaggio. La composizione appare bilanciatissima e calibrata. L’incoronazione della Vergine si svolge in un arioso paesaggio naturale, inondato da una luce vera, nitida che risalta i volumi delle figure e del trono in prospettiva. Il pavimento e il marmo sono preziosamente decorati con intarsi marmorei. RITRATTO DEL DOGE LEONARDO LOREDAN (1502 – 1503). Bellini sceglie, per il ritratto, il mezzo busto visto di tre quarti, come facevano i pittori fiamminghi. Infatti vediamo il protagonista con il corpo frontale e il viso di tre quarti, rivolto verso la sinistra dell’osservatore. Il volto del notabile è magro e segnato da sottili rughe che si notano sulla fronte e intorno agli occhi, sulla parte destra del volto. La luce indaga i particolari del volto e del ricco abito. Le due metà del volto sono leggermente differenti. A destra il viso è in ombra, il chiaroscuro evidenzia le rughe intorno agli occhi e la guancia scavata. A sinistra invece la luce leviga maggiormente la pelle illuminandola. L’artista ottenne così un modellato volumetrico che permette di descrivere le forme del volto e la superficie della pelle. Il colore azzurro e molto brillante dello sfondo crea un contrasto con la veste bianca e dorata esaltando l’importanza della carica istituzionale. Dal ritratto del doge emerge un senso di saggezza e autorevolezza necessarie per ricoprire il suo ruolo. Il protagonista assume un atteggiamento formale e autorevole. Infatti il doge non guarda in direzione dell’osservatore. Vediamo il sovrano consapevole di essere osservato nel dipinto, ma che non entra in contatto con chi lo osserva; in questo modo si crea un distacco reverenziale e il doge acquista la giusta distanza dai cittadini. Inoltre il taglio compositivo del busto ricorda quelli degli imperatori romani spesso sostenuti da plinti. Le mani sono nascoste per non distrarre l’attenzione degli spettatori dal volto. PALA DI SAN ZACCARIA (1505). Si tratta di una Sacra Conversazione tra la Vergine e i santi che la circondano. E’ ambientata dentro a una cornice architettonica di grande impatto, creando un effetto illusionistico tra spazio dipinto e spazio reale. San Pietro, a sinistra, è assorto nei suoi pensieri, con lo sguardo rivolto verso il basso; lo riconosciamo dalle chiavi che ha nella mano e dalla Bibbia. Santa Caterina d’Alessandria, alle sue spalle, si appoggia ad un frammento di ruota (strumento della sua tortura) e ha la palma del martirio nella mano destra; Santa Lucia, con indosso un abito elegante lilla, ha il vasetto contenente le pupille dei suoi occhi. San Girolamo indossa l’abito rosso ed è concentrato nella lettura. La composizione è simmetrica e genera una specie di rombo. Tutto è equilibrato e speculare: dalla posizione dei personaggi in meditazione fino agli scorci naturalistici. Il centro dell’opera è la figura dell’angelo musicante, il cui volto coincide con il punto di fuga. Egli è l’unico personaggio che guarda verso lo spettatore richiamandolo alla contemplazione. La scena è dominata da un silenzio assorto, quasi una sospensione temporale. In questa maestosa abside, aperta sui lati (per creare una scena spaziosa e ariosa), la luce fa perdere consistenza ai contorni delle figure, che sembrano concentrate in una profonda meditazione. Una luce soffusa penetra dai lati aperti avvolgendo le figure che sono modellate da colori sfumati ma brillanti. I contorni incisivi e le forme nette sono abbandonate a favore di una pittura in cui il colore è steso tono su tono, così da creare una sorta i fusione tra personaggi e paesaggio. Le variazioni cromatiche sono sottili, l’illuminazione è laterale e la luce è calda e omogenea e armonizza il tutto. |
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VITTORE CARPACCIO (1460 - 1526)
La sua abilità di narratore si coniuga con una sapiente organizzazione scenografica, che permette di unire gli episodi secondari e la miriade di particolari in un tutt’uno armonioso e organico.
I suoi mecenati furono principalmente le confraternite religiose che gli commissionarono cicli pittorici sulla vita dei loro santi patroni. Carpaccio narra le vite di questi santi, inserendole nella vita veneziana della sua epoca, quindi i suoi quadri sono a metà tra la pittura religiosa e quella in costume. CICLO DI SANT’ORSOLA (1490 – 1498). E’ composto da nove teleri (tele di vastissime dimensioni) che raffigurano la vicenda di Sant’Orsola. Secondo la Leggenda Aurea, Orsola era figlia del cristiano re di Bretagna, che venne mandata in sposa al pagano Etereo a patto che il futuro sposo si convertisse e andasse con la sposa in pellegrinaggio a Roma. Di questa storia, Carpaccio dipinge le scene più dinamiche e corali: l'arrivo degli ambasciatori del re pagano d'Inghilterra alla corte del re cristiano di Bretagna per chiedere la mano di sua figlia Orsola; le condizioni dettate da Orsola per accettare il matrimonio; gli addii e la partenza per il pellegrinaggio voluto da Orsola; il sogno in cui la santa riceve l'annuncio del prossimo martirio; l'incontro con papa Ciriaco a Roma (personaggio sconosciuto alla storia); il ritorno a Colonia occupata dagli Unni; la strage dei pellegrini e i funerali di Orsola; l'apoteosi della Santa, che sovrasta la moltitudine delle martiri. Carpaccio riuscì a rappresentare la storia senza indulgere in un pathos eccessivo e tuttavia selezionando i momenti più spettacolari. Ampie panoramiche, scorci profondi, luce e colore magistralmente dosati conferiscono ai dipinti un’aura teatrale Le storie si stagliano su fondali ariosi, paesaggistici e domestici, spesso ispirati a quelli dei contemporanei spettacoli teatrali. E’ caratterizzato da tagli inediti, invenzioni compositive nuove e ricercate, inoltre anche da una spiccata attenzione per i dettagli (indagati con precisione sia nel primo piano che nell’ultimo). All’interno di suggestive scene corali, dettagli curatissimi consentono di riconoscere personaggi realmente esistiti e di osservare architetture, costumi, particolari delle cerimonie e della vita quotidiana dell’epoca, restituita con grande freschezza. Il risultato è un capolavoro di pittura rinascimentale, destinato ad avere grande influenza nell'ambiente artistico lagunare. |
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