IL QUATTROCENTO FIAMMINGO
All’inizio del Quattrocento i territori fiamminghi comprendevano i Paesi Bassi, l’Olanda e la Zelanda. Questi vissero un momento di grande prosperità economica. Il fervore dei commerci fece sì che numerose banche, anche italiane, aprissero qui le loro filiali. Si venne così a creare un ambiente ricco, aperto e cosmopolita, in cui alla committenza aristocratica si affiancò anche quella della borghesia. Negli anni in cui a Firenze maturarono le esperienze del Rinascimento, anche nelle Fiandre si affermò una nuova pittura caratterizzata da una forte componente di realismo. Il rinnovamento operato dai fiamminghi nasce dalla naturale evoluzione del Gotico Internazionale, di cui viene accentuata la tendenza al naturalismo e vengono abbandonati gli aspetti di complicatezza ed eleganza a favore di uno spirito più severo e ascetico (in accordo con la religiosità più intimista diffusasi in questi luoghi dalla fine del Trecento). Le ricerche pittoriche si indirizzano verso una resa plastica più salda, verso una più coerente collocazione degli oggetti e delle figure nello spazio, verso un’indagine della luce che raggiunge straordinari effetti illusionistici. In Toscana lo strumento ideale per la riproduzione della realtà è la prospettiva lineare, nelle Fiandre passa invece passa per la costruzione di uno spazio reso unitario dalla diffusione della luce. Si sviluppa quindi un’arte più empirica e sensibile agli effetti illusionistici e agli effetti di luce e ombra che l’occhio percepisce quotidianamente. Un’impostazione geometrica e razionale quella toscana contro una centrata sulla visione e sull’esperienza, quella fiamminga. Grazie all’uso dei colori a olio, i toni diventano più fluidi e vengono applicati a strati successivi, sottili e trasparenti; questo crea infinite gradazioni di colore e luminosità. |
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ROBERT CAMPIN o MAESTRO DI FLÉMALLE (1378 – 1444)
Fu uno dei primi artisti a sperimentare l’uso dei colore a base di olio, in sostituzione di tempere a base di uova, per ottenere una brillantezza maggiore e tipica di questa tecnica.
Campin usa questa tecnica per creare dei personaggi forti, a tutto tondo, attraverso la modellazione incredibile di luci e ombre in composizioni dove sono presenti prospettive complesse. Le sue figure sono colte in atteggiamenti familiari, lontane dalla ieraticità degli altri fiamminghi. Lo stile è sobrio e disadorno; lontano da ogni linearismo, esalta la presenza fisica dei personaggi che diventano monumentali e plastici. TRINITA’ (1410). L'opera raffigura la Trinità, in particolare Dio Padre che sorregge la figura gracile ed esangue del Cristo morto (come se fosse una "Pietà"), che ha la colomba dello Spirito Santo sulla sua spalla. Più precisamente non si tratta di una colomba, ma di un'Aquila (cosa rarissima la raffigurazione dello Spirito Santo come Aquila). Le figure sono ritratte a monocromo, come statue marmoree, e sono collocate dentro una finta nicchia, sopra un piedistallo a base esagonale con la scritta "TRINITAS UNUS DEUS". La rappresentazione sembra gareggiare con la scultura ed esprime, tramite l'uso espressivo di luci ed ombre, un profondo pathos. L'opera si pone come uno dei capisaldi della pittura fiamminga, per l'uso incisivo e innovativo della luce che scava in profondità le figure tramite un forte chiaroscuro che ne esalta i volumi, che disegna ombre nette, in contrasto con le parti bianche in piena luce, modellando con estremo vigore i personaggi. Il corpo del Cristo è descritto con grande sensibilità anatomica. Si notino anche gli effetti delle gambe di Cristo, che sembrano proiettarsi verso lo spettatore, o dell'ombra del Dio Padre nelle nicchia che lo stacca così nettamente dallo sfondo. NATIVITA’ (1425). Sicuramente non si è abituati a vedere un affollamento tale di personaggi. Non solo la Madonna con il Bambino, ma Giuseppe, i magi, due donne, il bue e l'asino e quattro angeli che recano dei cartigli in mano con le litanie. La luce, fredda e indagatrice, descrive nei minimi particolari il panneggio che si apre dal primo all’ultimo piano. Oltre ad ammirare la maestria con cui definisce i particolari (si possono quasi contare i fili d'erba e vedere le venature del legno della stalla), c’è un’attenzione particolare al trattamento volumetrico del panneggio. Sempre in questo dipinto riusciamo a cogliere l'interesse di Campin per l'individualità dei personaggi. Soprattutto le figure maschili hanno una connotazione particolare, sembrano quasi delle figure grottesche e sono molto espressivi. |
JAN VAN EYCK (1390 - 1441)
La sua padronanza della pittura a olio è tale che molti lo considerano l’inventore di questa tecnica.
Caratteristica è l’incomparabile sensibilità con cui rappresenta persone e oggetti, che si rivela nell’estrema minuzia anche per i dettagli più insignificanti. La monumentalità delle sue opere deriva proprio dalla profonda esplorazione dei particolari. Nei quadri di Van Eyck il modo in cui cade la luce è un aspetto essenziale. Usando diverse miscele di pittura a olio, l’artista riuscì a riprodurre differenze minime nell’illuminazione degli oggetti, donando alle immagini un senso quasi tangibile di atmosfera e struttura. Lo spazio è reso credibile da una prospettiva che non è scientificamente esatta come quella di Brunelleschi o Masaccio, ma che raggiunge l’illusione sommando pazientemente un particolare alla volta, affinché il quadro appaia come uno specchio del mondo. La luce è la grande protagonista delle sue opere, è l’elemento che unifica e il mezzo con cui indagare con precisione persone, oggetti e paesaggi. I suoi dipinti sono infatti pervasi da una luce penetrante. I ritratti sono caratterizzati da una spietata psicologia attenta a ogni imperfezione o peculiarità del volto. POLITTICO DI GAND (1432). Un’opera grandiosa commissionata non da un nobile o da un vescovo, ma da un privato cittadino di Gand. Il polittico è una sintesi del concetto cristiano di Salvezza e Redenzione. A polittico chiuso vediamo ai lati, in basso, in due committenti e al centro ci sono S. Giovanni Battista (che per primo indicò Gesù come Salvatore) e S. Giovanni Evangelista (che espose il piano salvifico di Dio nella sua “Apocalisse”). Il registro superiore è occupato dall’Annunciazione che è ambientata in uno spazio domestico, l’interno di una casa borghese, con un paesaggio urbano che si intravede dalla finestra e una natura morta con brocca e asciugamani in una nicchia. Le parti di cornice che separano i pannelli proiettano la propria ombra sul pavimento come se fossero i montanti di una finestra attraverso al quale noi guardiamo dentro. Qui domina un’atmosfera sommessa e silenziosa, in cui i personaggi esprimono una devozione sobria e dominano i grigi e i bruni. A polittico aperto vediamo nel registro superiore, ai lati, Adamo ed Eva. Andando verso l’interno, vediamo poi cori di angeli cantanti e musicanti e poi la “supplica”, con Cristo giudice (per alcuni Dio stesso) tra la Vergine e S. Giovanni Battista che intercedono per il genere umano. All’interno Adamo ed Eva emergono da nicchie laterali oscure, segnati dal rimorso (le rughe e le vene sono evidenti). Vogliono rappresentare il primo passo dell'umanità nel cammino verso la redenzione. Dall’attenzione ai particolari, emerge l’animo dei soggetti. La luce dà consistenza reale ai corpi. Un ulteriore tocco di realismo è fare Adamo con le mani e il volto più scuri come accade a chi lavora all’aperto. I pannelli del registro inferiore presentano, in un ampio paesaggio, l’Adorazione dell’Agnello mistico, raffigurazione di Cristo stesso come agnello sacrificale. La scena si snoda in un immenso giardino con cortei di personaggi osservati con straordinario realismo. Qui l’agnello troneggia al centro su un altare; sopra di lui c’è la colomba dello Spirito Santo che, in un’ideale linea verticale, congiunge l’agnello e Dio/Cristo giudice, in una perfetta Trinità. Tutto attorno, secondo quanto scritto nell’Apocalisse, angeli, santi, martiri, confessori, apostoli, profeti, patriarchi, eremiti, pellegrini e soldati di Cristo, tutti venuti per l’Adorazione. Sullo sfondo c’è una città, al Gerusalemme Celeste. A questo spazio, che sembra estendersi all’infinito, si contrappongono le monumentali figure del registro superiore. L’UOMO DAL TURBANTE ROSSO (1433). Il soggetto emerge da uno sfondo scuro e indistinto (dipinto non di nero, ma di blu scuro) e gira la testa per incrociare lo sguardo dell’osservatore. Una sola fonte di luce illumina i tratti del soggetto, la pelliccia del collo e le pieghe dell’esotico turbante rosso che gli avvolge il capo. Il contrasto tra la parte in ombra e quella illuminata del volto è estremo dando volume alle vene che sporgono sulle tempie dell’uomo, alle rughe agli angoli degli occhi e all’incavo sotto lo zigomo. Il volto è spigoloso, ci appare teso ed emblematico, ma è di un verismo impressionante. E’ reso ancora più intenso dallo sguardo tagliente verso lo spettatore. Il morbido e voluminoso copricapo di stoffa, osservato nelle sue pieghe cangianti, sottolinea la fisionomia nobile dell’uomo. Il disegno è netto e sottile e sembra cristallizzare la sua forte energia. Per sottolineare la forza del soggetto, il pittore lo colloca in un ambiente scuro da cui spicca grazie alla luce dorata e uniforme che ne evidenzia i volumi. Per ottenere le gradazioni più scure e intense delle ombre, Van Eyck applicava molteplici strati di pittura, creando una velatura spessa e visibilmente rialzata rispetto alla superficie del dipinto che rimaneva comunque rossa a causa della trasparenza dei pigmenti. RITRATTO DEI CONIUGI ARNOLFINI (1434). Raffigura un mercante di stoffe lucchese, che si era trasferito nelle Fiandre. Le due figure sono nella loro camera e stanno riconfermando il giuramento nuziale davanti a due testimoni. Questi sembrano assenti nel dipinto, ma si scorgono, in piccolo, riflessi nello specchio al centro del quadro. Grazie al quadro vediamo anche l’altra metà della stanza: si vedono gli sposi di spalle e due persone “ al di qua” della tela. L’orizzonte alto fa sì che lo spettatore si senta dentro la stanza. L’ambiente è scandito da particolari quotidiani che hanno significati simbolici legati al matrimonio. L’uomo è rigido, ha un volto affilato e temibile, mentre la donna è dolce e sottomessa. Lo specchio convesso sul fondo è il fulcro della composizione. Riflette i coniugi di schiena, due testimoni, il pittore stesso e delle figure (quasi invisibili) in piedi davanti alla porta, nella posizione dello spettatore. E’ un accorgimento che amplia lo spazio oltre i limiti del quadro ed è un minuscolo capolavoro di virtuosismo (quasi un quadro dentro al quadro), dove ogni cosa si riflette e si deforma per via della forma bombata della superficie specchiante. Lo specchio non è l’unico elemento sorprendente: l’abilità di Van Eyck si rivela anche nella resa della pelliccia dell’uomo, che appare soffice e calda, nelle pieghe morbide dell’abito della donna, nei riflessi metallici sul lampadario e nella luce tenue che entra dalla finestra e accarezza ogni superficie. Questi dettagli dovevano comunicare all’osservatore il lusso e il benessere del ricco committente. |
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ROGIER VAN DER WEYDEN (1399 - 1464)
Nonostante abbia risentito della nuova visione di Van Eyck, mantiene le sue opere in un clima di reviviscenza del patetismo e del lirismo tipici del Gotico.
Le caratteristiche della sua pittura sono l’intensità umana e la profonda spiritualità delle figure. E’ interessato al momento drammatico e all’espressione. Il suo sguardo è sofferente e partecipe; rappresenta i sentimenti con uno stile dinamico e grafico che però non travalica i confini di una sobria compostezza piena di nobiltà. Le sue figure perdono la loro saldezza plastica e la loro monumentalità, si fanno taglienti e appuntite, e i volti severi e angosciati. Le composizioni, basate sull’armonia geometrica, attirano al nostra attenzione e si fissano nella nostra memoria. DEPOSIZIONE DALLA CROCE (1430 – 1435). La composizione emula i tabernacoli incisi e scolpiti (tipici del XV secolo) in cui la modellazione delle figure avveniva quasi a tutto tondo; infatti anche qui l’artista scelse uno sfondo dorato con una profondità appena sufficiente a collocarvi le figure. Inoltre l’angusta ambientazione dà alle figure un risalto monumentale e scultoreo. La composizione è semplice e formale. La maggior parte delle figure è racchiusa in un arco che si sviluppa su un asse centrale costituito dalla croce stessa, dal busto di Cristo e dal braccio pendente. La concatenazione di gesti e atteggiamenti crea un movimento continuo e amplifica la sofferenza delle singole figure che culmina nei due corpi sofferenti e paralleli del Cristo e della Vergine. Il ritmo è turbato dalla tensione emotiva che raggiunge l’apice nella figura della Vergine svenuta, sorretta da San Giovanni e dalla donna in verde sulla sinistra, forse Maria Salomé. L’espressione di ogni volto è intensa e personale: dalla dolorosa pietà del barbuto Nicodemo alla forza disciplinata di San Giovanni, dal dolore incontrollato delle tre Marie alla disperazione della Vergine svenuta, fino ai lineamenti pallidi del Cristo morto. Ovunque compaiono angoli marcati, come quelli formati dalle gambe e dal braccio sinistro di Cristo, dalla posa di Maria Maddalena che si torce le mani sulla destra; una spigolosità che spesso interrompe le pieghe dei drappeggi. I colori degli abiti sono saturi e brillanti e risaltano rispetto alla finta nicchia in legno. L’assenza del paesaggio concentra l’attenzione sulle reazioni dei soggetti al distacco del corpo di Cristo morto dalla croce. La luce è intensa e diffusa, infatti le figure sembrano statue e la spazialità solida e tangibile. POLITTICO DEL GIUDIZIO UNIVERSALE (1443 – 1451). La corte celeste sembra lievitare su una nube incandescente con, al suo apice, la figura di Cristo giudice. Sotto al Cristo c’è l’Arcangelo Michele che pesa le anime dei buoni e dei cattivi via via che esse escono dai sepolcri (i quali occupano tutta la fascia inferiore) e vagano in attesa del giudizio. Accanto a Cristo, nei due pannelli superiori, volano angeli coi simboli della passione, mentre nei pannelli inferiori si trova una fila per lato di santi della corte celeste, tutti avvolti da una nube incandescente. Ai lati si trovano le evocazioni del Paradiso e dell'Inferno. Il primo è semplicemente evocato da un portale dorato dove un angelo accoglie le anime dei giusti. Il secondo è una grotta buia dove i dannati sono sprofondati. Secondo l'atteggiamento intellettuale del nascente umanesimo, Van der Weyden non indugia sui dettagli macabri o sulla descrizione delle pene fisiche, ma sottolinea invece i moti interiori e i sentimenti dei personaggi. I colori accesi sono stupefacenti. Sul retro degli scomparti chiudibili si trovano un Angelo annunciante e Maria (in alto) e San Sebastiano e Sant'Antonio (in basso) dipinti a monocromo, come statue marmoree viventi. Nonostante alcuni particolari di crudo realismo, l’opera si distacca dalle sovraffollate e allucinate visioni tardo medievali dello stesso soggetto. DEPOSIZIONE NEL SEPOLCRO o COMPIANTO SUL CRISTO MORTO (1463 – 1464). Il dipinto mostra la sepoltura di Cristo, inclinato di lato e avvolto in un panno, circondato da cinque personaggi. Alla sua sinistra riconosciamo la Vergine Maria, con un velo bianco purissimo sul capo, addolorata. A destra invece troviamo un giovane e dolente San Giovanni Evangelista, vestito con una tunica e un mantello rossi, leggermente chinato a sostenere il panno bianco che avvolge il Cristo. Queste due figure gli tengono le mani, ricreando la postura della Crocifissione. In primo piano è inginocchiata la Maddalena, le braccia lievemente aperte per il dolore. Dietro il Cristo si vedono due personaggi anziani, abbigliati elegantemente, che contrariamente a tutte le altre figure scalze, indossano calzari; e in più sono gli unici a non avere l’aureola. I due uomini sono Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che guarda con occhi tristi e guance rigate dalle lacrime lo spettatore. Secondo la tradizione nelle sue fattezze si nasconderebbe un autoritratto del pittore stesso o addirittura un ritratto di Cosimo il Vecchio de’ Medici, probabile committente del dipinto. La composizione è semplice e simmetrica, la scelta del punto di vista centrale dà solennità. E’ movimentata sia dalla lastra rettangolare di chiusura del sepolcro disposta diagonalmente a terra; e dalla posizione della Maddalena, decentrata rispetto all’asse costituito dal corpo di Cristo e dalle tre croci sul Golgota che si scorgono in lontananza. Il realismo è profondamente umano perché il pittore riesce a cogliere, attraverso i gesti tormentati delle figure, la fragilità degli uomini. La descrizione dei volumi è affidata a un linearismo grafico tagliente e nervoso; il ritmico fluire dei movimenti sembra pietrificato dallo sgomento del momento. I colori sono più accesi e la luce più brillante, anche grazie all’utilizzo della tecnica ad olio. Alla più rigida sintesi tipicamente italiana, si contrappone inoltre l’efficacissima resa minuziosa del paesaggio. |
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HIERONYMUS BOSCH (1450 - 1516)
Nel panorama artistico del suo tempo è un indipendente e solitario, anche se le sue opere sollecitarono subito molto interesse.
Bosch viene da una famiglia di pittori olandesi e porta l’amore per i dettagli, tipico dei fiamminghi ai suoi limiti estremi. I suoi dipinti danno vita a un universo brulicante di mostri, stranezze e metamorfosi. Le sue opere sono talmente ricche di particolari fantasiosi e di misteriosi simboli religiosi che l’occhio dell’osservatore non sa dove fermarsi e non riesce a individuare il soggetto principale. L’attenzione di chi guarda si perde tra i mille particolari delle scene, che però mantengono un’unità d’insieme grazie alla capacità compositiva del pittore. Sono personaggi dalle forme mostruose, raffigurati con uno stile limpido, di derivazione astrologica, alchemica o allegorica (facendo riferimento anche all’immaginario medievale); la Bibbia si mescola alla cabala e alla magia. I piaceri carnali, escluso alcune rappresentazioni esplicite, vengono raffigurati con figure simboliche e metaforiche. Gli animali spesso simboleggiano, secondo la tradizione medievale, i bassi istinti e le brame bestiali dell’uomo. Alla base dei suoi dipinti c’è un profondo stimolo morale: rendere l’uomo cosciente del destino infernale che attende chi commette peccati. Le sue opere sono dominate da uno spirito controriformistico e perseguono uno scopo religioso e moralizzante. Ha una concezione profondamente pessimista della natura umana, in cui peccato e stoltezza sono condizioni “normali” e il fuoco infernale è la destinazione finale dell’uomo. GIARDINO DELLE DELIZIE (1495 ca.). Bosch vi raffigura centinaia di piccole figure umane, spesso in atteggiamenti stravaganti, circondate da animali e mostri immaginari. L’opera di Bosch rimane difficile e controversa, ma benché si basi spesso su un’oscura simbologia alchemica, il messaggio generale è chiaro. Nel Giardino delle delizie, la Creazione e l’Inferno incorniciano un mondo di piaceri terreni. Il pannello di sinistra è dedicato alla Creazione. Adamo ed Eva sono raffigurati nudi e vicini a Dio, immersi in una natura rigogliosa che ricorda il paesaggio di una fiaba. Intorno a loro c’è una moltitudine di animali, tra questi una foca, una giraffa, un elefante, un unicorno, un cinghiale e stormi di uccelli in volo. Nel pannello centrale è rappresentato il Paradiso terrestre, il “giardino delle delizie”, affollatissimo di costruzioni fantastiche e strani personaggi (come un uomo con una civetta in testa e quello dentro una cozza). Si vedono coppie che saltellano spensierate in un paesaggio costellato da creature bizzarre e da oggetti non identificabili. Al centro, intorno al laghetto, si muove un girotondo di animali cavalcati da figure umane e tutt’intorno prati, alberi, laghetti, fontane colorate e colline a perdita d’occhio; questo è stato interpretato come una cerimonia iniziatica o un battesimo perverso. Nel pannello di destra è rappresentato l’Inferno: un paesaggio oscuro e inospitale, rischiarato sul fondo dagli incendi che bruciano le case. Qui gli uomini sono puniti da esseri mostruosi e strumenti musicali impazziti. Al centro si staglia un uomo-albero, una creatura dal volto umano, corpo a guscio d’uovo e gambe come tronchi poggiate su due barche. In basso a destra, seduto su un alto tronco circolare, troviamo il Principe dell’Inferno, una creatura con il con il corpo umano e la testa d’uccello che divora gli uomini spalancando il becco. Sulla testa ha un pentolone e ai piedi due vasi. L’opera va letta partendo da sinistra, infatti il trittico monumentale mostra il percorso dell’uomo dal paradiso terrestre, attraverso i piaceri promiscui della carne, fino ai tormenti degli inferi. Gli studiosi hanno interpretato il trittico come un ammonimento sul destino a cui conducono il peccato, la decadenza e l’immoralità. I dipinti pullulano di simboli erotici, alcuni sono immediati e tradizionali, come i frutti (fragole e bacche, raccolte e mangiate da tutti) e gli uccelli (che rappresentano il piacere e la vanità sessuale). L’uso di una prospettiva doppia accresce la tensione. Bosch adottò una linea d’orizzonte alta, spingendo l’osservatore ad abbassare lo sguardo sul paesaggio e a sollevarlo sulle figure estremamente sottili. La ferocia della satira e l’infinita invenzione di tormenti orribili e disgustosi svelano il carattere medievale di Bosch: l’artista credeva nell’esistenza dell’inferno e riteneva che le persone dovessero confrontarsi con le conseguenze del peccato. |