LE CORBUSIER (1887 - 1965)
La sua logica progettuale parte dal creare gli ambienti dall’interno, plasmandoli sulle esigenze di chi dovrà fruirne, senza interessarsi dei rapporti con l’esterno. La sua è un’architettura che deve rispondere ai bisogni dell’uomo. Perché, secondo Le Corbusier, se l’architettura obbedisce con rigore formale a tutte le necessità funzionali, non può essere in contrasto con l’ambiente circostante.
Quindi il suo metodo progettuale nel realizzare edifici si basa sull’analisi delle necessità degli utenti, sulla corretta illuminazione degli interni e sulla possibilità di aggregare più funzioni nella stessa costruzione. Per l’architetto l’edificio non disturberà la natura circostante ponendosi come un blocco ermetico, la natura non si fermerà sulla soglia dell’edificio, ma entrerà in esso. La sua architettura è chiarita in 5 punti nel suo saggio-manifesto “Verso un’architettura” del 1923. In generale, l’introduzione di una struttura a scheletro in cemento armato permette le cinque seguenti innovazioni: - i pilotis, esili colonnini in calcestruzzo armato su cui poggia la casa che la isolano dal terreno e fanno diventare lo spazio sotto la casa sfruttabile; - il tetto giardino, i tetti delle case non devono più essere a spioventi, ma piani per trasformare questo spazio in un giardino e ritrovare così il contatto con il verde (che si è perso sollevando la casa da terra); - la pianta libera, la struttura portante è costituita solo da una griglia di pilotis per cui i muri si possono distribuire dentro la casa in modo totalmente libero. Questa scelta lascia all’architetto anche la possibilità di organizzare gli spazi di ogni piano senza ricalcare quelli dei piani sottostanti, ma solo seguendo le esigenze funzionali e abitative; - le finestre a nastro, sono lunghe e continue e si sviluppano in orizzontale lungo tutte le facciate e aumentano la luminosità interna. Sono possibili grazie alle pareti in cemento armato e rivoluzionano l’aspetto della facciata, consentono l’entrata di più luce e creano una corrispondenza più idonea tra interno ed esterno; - la facciata libera, i pilastri sono arretrati rispetto alla facciata che quindi può assumere nuove configurazioni in relazione alle funzioni degli spazi interni. Nella sua architettura quindi non ci sono più tetti inclinati, non ci sono decorazioni, non c’è niente che non sia funzionale. Inoltre il suo percorso stilistico ruota attorno al tema della casa e dell’aggregazione di cellule abitative in unità più grandi per approdare fino alla progettazione di metropoli. VILLA SAVOYE (1929 – 1931). Sembra un grosso parallelepipedo poggiato con eleganza sul prato. Appare come un’unione di volumi geometrici puri, estranea all’ambiente circostante, da cui emerge con chiarezza. Ha una pianta rigorosamente quadrata e si regge su degli esili colonnini in cemento armato. In basso c’è un portico che è in contatto diretto col verde del prato circostante. Il verde quindi può insinuarsi al di sotto della casa, diminuendo il contrasto natura-architettura. Una rampa, dal vestibolo di ingresso, porta al primo piano. Poiché la struttura è in calcestruzzo, le pareti non hanno funzione portante e quindi possono essere disposte in libertà secondo le esigenze di progettazione dello spazio dell’architetto. I vari ambienti sono tutti definiti da volumi primari e rigorosi. Il tetto è piatto, con un solarium protetto da un muro sagomato, un giardino pensile e uno spazio per stendere i panni. Le facciate sono un nastro continuo e leggero, una striscia animata dai vuoti delle finestre, risolte in vetrate continue e quindi non più elementi singoli. Il carattere monumentale-retorico delle facciate è superato in favore di una struttura aerea, logica, discreta nei suoi rapporti con l’intorno. Il risultato è una struttura su due livelli dal volume compatto e leggero, sintesi di purezza formale, perfettamente in sintonia con l’ambiente circostante, con cui dialoga e si compenetra. Nel 1947 elabora il “MODULOR” che, sulla base delle proporzioni umane, individua un serie di multipli e sottomultipli geometrici in base ai quali dimensionare le costruzioni. E’ una speciale unità di calcolo degli spazi formulata sulla base di una combinazione di tre misure: le proporzioni del corpo umano, la serie di Fibonacci e la sezione aurea. La preoccupazione maggiore nella fase matura della carriera de Le Corbusier fu quella della vivibilità dello spazio urbano. I presupposti teorici erano: - la convinzione che la struttura della città influenzi il grado di democrazia; - l’attenzione per il traffico automobilistico, in rapido aumento; - la volontà di pensare a spazi per il lavoro, per il governo, per le residenze, per lo sport e per il tempo libero. UNITA’ DI ABITAZIONE (Marsiglia 1946 – 1952). E’ un edificio grandioso che si presenta come un blocco stretto e lungo sollevato su grandi pilastri e dotato di 17 piani e 337 appartamenti per un totale di 1500 abitanti. Sembra un maestoso “alveare” che poggia sui pilotis e che si propone come esempio di cellula per la creazione di una città ideale. A metà altezza sono collocati i servizi comuni: l’asilo, la lavanderia, il ristorante, i negozi; mentre il tetto ospita i giardini e la piscina che avrebbero aiutato la salute e le relazioni sociali degli abitanti dell’edificio. Quasi tutte le cellule abitative sono disposte su due livelli accessibili con una scala interna. Questo consente di creare una luminosa zona soggiorno a doppia altezza, spazi più liberi, più mossi e quindi più rispondenti alle esigenze dell’abitare quotidiano. Tutto è studiato per corrispondere in modo pratico a ogni esigenza. Per Le Corbusier, la casa, doveva essere una “macchina per abitare” dove nulla viene lasciato al caso o alla fantasia dell’architetto. Le Corbusier si diverte, coi colori primari, a differenziare gli spessori delle facciate. CAPPELLA DI NOTRE-DAME-DU-HAUT (Rochamp, 1950 – 1955). In quest’opera abbandona le forme “scatolari” che gli erano abituali per realizzare una struttura asimmetrica composta solo da pareti curve. Le Corbusier crea un organismo complesso pervaso da un profondo misticismo. Diversi volumi si compenetrano definendo un perfetto oggetto plastico integrato nell’ambiente circostante come una grande scultura all’aperto. La funzione spirituale del luogo richiede un approccio diverso, basato sulla suggestione delle forme piuttosto che sulla funzionalità degli spazi. Le Corbusier crea così una grande “scultura abitabile” coperta da un tetto scuro e sporgente ispirato alla forma del guscio di un grande granchio. La struttura è in calcestruzzo armato ed è composta da un’unica navata irregolare; tre cappelle sono ricavate in piegature dei robusti setti murari e terminano con tre campanili di forma semicilindrica. L’ingresso, che appare come un grande squarcio nel muro, porta a un piccolo ambiente con una parete traforata da minuscole finestre disposte in modo irregolare. Il pavimento dell’unico ambiente interno è posto in leggera pendenza in direzione dell’altare. La chiesa non ha una facciata privilegiata, ma è qualcosa da scoprire, girandoci attorno, vivendola nei suoi spazi e nei suoi percorsi sempre diversi. Perdendo la simmetria, l’edificio perde la struttura autoritaria (sparisce la separazione tra lo spazio per il clero e quello per i fedeli) e torna a essere un luogo per l’intera comunità. Le pareti in pietra, imbiancate con cemento e sabbia applicati a spruzzo, contrastano con il colore scuro della copertura a forma di conchiglia che sovrasta la struttura, sporgendo rispetto ai muri, a loro volta curvilinei e inclinati. La copertura è in calcestruzzo, modellata come se fosse una grande vela rovesciata. Per aumentare il senso di leggerezza dell’insieme, la copertura non si appoggia direttamente sulle pareti, ma su corti pilastrini quindi non chiude in alto le pareti, ma lascia filtrare una striscia di luce che à un grande effetto di leggerezza. Perché in questo modo, dall’interno si vede una lama di luce che penetra tra i muri e il soffitto, come se questo non avesse peso e stesse lì per miracolo. La luce penetra all’interno frammentata e colorata, come in un’antica chiesa gotica. Entra anche da decine di aperture di forme varie e disposte in modo apparentemente casuale sulle pareti: feritoie, finestre, vetrate, frangisole, che donano suggestivi effetti di luce; questi sono valorizzati dal netto contrasto del bianco dell’intonaco col grigio del cemento. I fori apparentemente sembrano disposti in modo casuale, ma in realtà riprendono le note di un canto gregoriano e sembrano creare una vera e propria costellazione. Il tutto crea un’illuminazione suggestiva e misurata perfetta per uno spazio di raccoglimento spirituale. Il valore di Le Corbusier sta nell’aver proposto una nuova libertà nel progettare lo spazio sacro, non più modellato sul simbolismo della croce, ma sull’imprevedibilità della provvidenza divina. |
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