MASACCIO (1401 - 1428)
Amico di Brunelleschi e Donatello, aderisce con entusiasmo ai primi fermenti rinascimentali. A contatto con il vivace ambiente fiorentino dà corpo a una nuova pittura in cui l’uomo è al centro, inteso come essere dotato di sentimenti e passioni, caratterizzato da un corpo solido, descritto prendendo spunto dall’antico e dallo studio del reale.
Le figure di Masaccio sono quindi costruite con il volume e col chiaroscuro (e non più solo con la linea), le vesti aiutano a dare il senso di tridimensionalità. SANT’ANNA METTÈRZA (1424). Secondo un’iconografia tradizionale, che celebra la genealogia femminile di Gesù, il dipinto raffigura la Madonna con il Bambino e sant’Anna, madre della Vergine, in trono circondati da angeli. Sant’Anna e gli angeli “reggicortina”, eseguiti da Masolino (maestro di Masaccio) sono dipinti con grande attenzione alla linea fluida, alla delicatezza degli incarnati e alla preziosità degli accordi cromatici, ma stentano a emergere dal fondo e i movimenti sono un po’ legnosi. Inoltre è difficile capire la posizione del corpo di Sant’Anna che sembra risolversi in una molle cascata di pieghe. La Madonna e il Bambino, eseguiti da Masaccio, sono modellati con un ampio uso di ombre e con un effetto plastico “scultoreo”. Energica e consapevole, la Madonna tiene su una gamba Gesù che è un bambino vivace e vero. L’impianto della Madonna è potente e maestoso nella solidità del corpo che risalta fisicamente ed è percepibile attraverso i panneggi della veste. Le sue mani stringono con forza la gamba sinistra del Bambino. Il Bambino, da parte sua, non è aggraziato, ma è robusto e ha una muscolatura vera. La Vergine ha un’espressione seria e consapevole, quasi triste, mentre volge lo sguardo lontano; forse teme per il destino del Bambino che le sue mani reggono a tenaglia sulla coscia. Lo spazio concepito da Masaccio è già di tipo brunelleschiano infatti la profondità si percepisce attraverso il basamento del trono. Le solide strutture lo chiudono lateralmente. Lo spazio si legge anche nella sovrapposizione dei personaggi. Fa da sfondo alle tre figure divine il manto e la cortina decorata finemente e sostenuta dagli angeli che si pongono dietro di essa suggerendo quindi un quinto piano prima del fondo dorato. MADONNA COL BAMBINO (1426). Seduta su un trono marmoreo, la Vergine si china pensosa sul Bambino, intento a mangiare con avidità gli acini di un grappolo d’uva che la madre tiene in mano (un gesto naturale che però allude al mistero eucaristico). È un’immagine monumentale per severità, ma anche materna, protettiva calma. Infatti il corpo della Vergine non è più fisso e rigido, ma s’incurva trepidante come a formare un bozzolo protettivo attorno al figlio. Umanissima infatti è la descrizione del rapporto madre-figlio e molto reale è la resa fisica delle figure, i cui volumi sono esaltato da una luce calda che riverbera dal fondo oro. Il panneggio della Madonna esalta la sua fisicità, le profonde pieghe fanno pensare a un corpo, dotato di volume reale, sottostante. Il manto della Madonna è composto da pieghe realistiche, che modellano il volume delle gambe e del busto, e contrastano con la dolce fragilità del viso. Il Bambino è paffuto e dai gesti infantili, ma il volto appare pensoso, sospeso probabilmente al significato premonitore dell'uva eucaristica. L’aureola del Cristo ubbidisce alle stesse regole prospettiche del mondo circostante. L'effetto d'insieme del dipinto è monumentale, come le figure principali improntate a una massiccia statuarietà, attenuata dai gesti e le espressioni tratte dalla quotidianità. Entrambi gli elementi rivelano un'influenza di Donatello. L'illuminazione, più che il disegno di contorno, definisce la forma plastica delle figure, facendole assomigliare a voluminose sculture. Colpisce la precisione della luce che taglia lo schienale del trono e lascia in ombra gran parte del volto della Madonna, forse per la prima volta nell'arte italiana. CROCIFISSIONE (1426). I quattro personaggi sono composti in modo geometricamente sorprendente. Maria, a sinistra, immobile e severa piange il suo dolore avvolta in un pesante mantello che la fa apparire monumentale e scultorea. A destra, S. Giovanni è attonito e addolorato. Al centro Cristo è rappresentato nella dolorosa immobilità della morte. In basso c’è la Maddalena, di cui non vediamo che una cascata di capelli biondi e due mani disperatamente tese verso Cristo in un gesto violento (come il color rosso della veste). Il Cristo, guardato di fronte, pare abbia il capo completamente incassato nelle spalle, come arreso alla morte. In realtà la tavola va vista dal basso verso l'alto, come quando era collocata nel suo sito originario, ed in questa prospettiva il collo appare nascosto dal torace innaturalmente sporgente. Il pittore ha cercato di correggere l’immagine con un effetto ottico. Anche il corpo, con le gambe disarticolate dal supplizio, appare sfalsato dalla prospettiva. Masaccio tentò di scorciare in prospettiva il corpo del Cristo, ma l'effetto sperimentale ottenuto fu più maldestro che illusionistico. In ogni caso fu il primo tentativo del genere e ben testimonia il clima sperimentale del primo Rinascimento fiorentino. Inoltre la sperimentazione di una prospettiva così ardita Masaccio la fa per rendere l’esperienza di chi osserverà l’opera dal basso, il più vicina possibile alla realtà. Cristo col chiaroscuro che dà un rilievo plastico alla figura sembra sbalzare fuori dal fondo oro. La Madonna sta ora immobile ai piedi della croce, le mani giunte che si stringono nel dolore, erta in tutta la sua statura, nell'ampio mantello blu, come impietrita dall'angoscia. Sull'altro lato della croce sta San Giovanni con il capo mestamente reclinato sulle mani congiunte, ed il movimento delle braccia è sottolineato dal blu di una manica che contrasta con il rosso del manto. Ha il volto affranto e sembra sforzarsi per trattenere le lacrime. In alto sulla croce è posto l'albero della vita, simbolo della rinascita: quando Giuda si impiccò, l'albero rinacque. La scena sembrerebbe immobile (come se con il trapasso di Cristo anche il tempo si fosse fermato) se non fosse per la presenza della Maddalena che vediamo solo di spalle, i lunghi capelli biondi disciolti sul suo manto scarlatto, e pare aver fatto da poco irruzione nella scena ed agitarsi scomposta dal dolore. Inginocchiata ai piedi di Cristo, le braccia aperte e tese al cielo che ricordano i gesti drammatici delle «lamentatrici» nell'antico pianto funebre della tradizione mediterranea, la Maddalena ha, in questa tavoletta di Masaccio, una impareggiabile forza espressiva che segna il culmine del pathos della scena. TRINITA’ (Santa Maria Novella a Firenze, 1426 – 1428). Ciò che colpisce subito è l’architettura nella quale sono inseriti i personaggi principali. Sulla scia di Brunelleschi, Masaccio dipinge un vano coperto da una volta a botte a lacunari, introdotta da un arco poggiante su colonne ioniche e affiancato da due lesene corinzie. La prospettiva con cui è dipinta la copertura è scorciata dal basso, pensata per il punto di vista di un osservatore reale che si trova nella chiesa, davanti all’affresco. L’uso attento delle regole prospettiche rende quest’architettura assolutamente reale e fortemente scorciata e dà l’impressione che la parete sia realmente sfondata da una nicchia profonda. In primissimo piano c’è un sarcofago con uno scheletro e un’iscrizione che alludono alla transitorietà della vita umana, “Tu sei quello che io ero, io sono quello che tu sarai”. Le due figure in ginocchio sono i committenti (Domenico Lenzi e sua moglie), sono persone normali e quindi sono fuori dal vano architettonico e più vicini allo spettatore (però sono delle stesse dimensioni dei personaggi sacri). Questo dimostra il rifiuto che ha Masaccio per le tradizionali gerarchie medievali a favore di una restituzione verosimile del dato reale. La composizione è basata sul triangolo/piramide che è una forma stabile che genera grande simmetria e quindi anche una buona leggibilità. L’impressione complessiva è di un realismo senza precedenti. In primo luogo perché la proporzione tra architettura e figure è plausibile e poi perché i committenti sono della stessa scala delle figure sacre (per la prima volta nella storia della pittura cristiana). CAPPELLA BRANCACCI (Chiesa del Carmine a Firenze, 1424 – 1428). Ci lavorano Masolino e Masaccio, lo stile brutale di Masaccio si contrappone a quello goticheggiante dell’opera di Masolino. Gli affreschi occupano tre pareti della cappella e sono inquadrate da una finta architettura a paraste corinzie. Raccontano le storie riguardanti san Pietro partendo dal momento in cui Adamo ed Eva si sono smarriti nella tentazione del peccato originale. Le differenze tra i due artisti emergono chiaramente. Significativo è il raffronto tra: ADAMO ED EVA NELL’EDEN (Masolino). Adamo ed Eva sono nudi e immobili mentre sembrano scambiarsi uno sguardo complice poco prima di addentare il frutto della conoscenza. Un serpente con la testa umana, sinuosamente avvolto all'albero, li osserva dall'alto. Hanno corpi eleganti e morbidi resi tridimensionali da un chiaroscuro tenue e luminoso che non sembra derivare da un’illuminazione specifica, ma sembra piuttosto irradiare dalle figure stesse in modo del tutto irreale. Sfiorano appena il terreno e volti e gesti non restituiscono azioni o emozioni, ma sono scelti per rispettare specifiche simmetrie compositive (come si nota nella disposizione delle braccia, alternativamente tese o flesse). I personaggi sono inseriti in una cornice di elementi architettonici e naturalistici particolareggiati, tipicamente gotici. Occupano cioè uno spazio astratto. LA CACCIATA DAL PARADISO (Masaccio). Qui Adamo ed Eva appaiono straordinariamente umani: una pesante ombra fa curvare la schiena di Adamo (prefigurando la condanna al lavoro della terra). Mentre il volto di Eva è deformato dal dolore: gli occhi scavati diventano solchi scuri e la bocca aperta un grido di pianto. Le figure poggiano saldamente sul terreno e sono plasticamente colpite da una luce livida che ne proietta le ombre reali a terra. Le ombre a terra rendono concreti i due corpi, destinati alla sofferenza e alla fatica e sottolineano le loro fisicità. Le anatomie sono descritte perfettamente. Le figure esprimono, con gesti di disperazione e vergogna, un dolore profondamente umano. I corpi sembrano appesantiti e abbrutiti dal senso di colpa. Non predomina il disegno, le figure sono costruite col colore e col chiaroscuro (come succede nella realtà). Adamo ed Eva sono essenziali, senza alcun orpello e alcuna ricerca del bello e del grazioso, esprimono invece drammaticità e un forte pathos. Lo spazio diventa reale grazie allo scorcio in prospettiva della porta del Paradiso e grazie anche alla luce che proviene da destra (dove realmente è presente la finestra della cappella). Il TRIBUTO DELLA MONETA illustra l’episodio evangelico in cui Gesù, alla richiesta del versamento di un tributo da parte delle autorità romane, chiede a Pietro di cercare la moneta nella bocca di un pesce. Miracolosamente Pietro vi trova il denaro e il tributo può essere pagato. Masaccio, nella stessa immagine, rappresenta i momenti successivi: Gesù e gli Apostoli vengono fermati dal gabelliere, Cristo invia Pietro fiume/lago, Pietro trova la moneta nella bocca di un pesce, Pietro paga il gabelliere. Vediamo infatti il gabelliere apparire due volte e Pietro addirittura tre. Questo è un espediente permette a Masaccio di raccontare una storia in un unico affresco. Anche la disposizione delle scene non è casuale, il pittore altera la sequenza temporale-narrativa per favorire la plasticità dell’effetto finale. La figura di Cristo è il fulcro della composizione (centro morale e fisico perché sulla sua testa si riuniscono le linee prospettiche), ed è circondata dal gruppo di Apostoli. Le figure sono scultoree e le ampie vesti fanno intuire i corpi sottostanti. I colori accesi di vesti e mantelli li fanno risaltare sulle tinte neutre usate per lo sfondo. Lo spazio è costruito non da elementi architettonici, ma grazie alla loro presenza e alla loro disposizione, alla quale si lega anche la corono dei monti all’orizzonte. La scena presenta una forte tridimensionalità e Masaccio la ottiene con diverse tecniche: i personaggi, illuminati da destra, appaiono massicci grazie al chiaroscuro degli abiti; le montagne sullo sfondo sembrano molto lontane per via del colore sempre più chiaro; l’edificio a destra è raffigurato in prospettiva; anche le aureole sulle teste di Cristo e degli apostoli sono disegnate in prospettiva; ci sono alcuni personaggi di spalle per dare una profondità più realistica alla scena. Masaccio evidenzia lo stupore sui volti degli Apostoli, che si guardano increduli tra loro e che hanno tratti somatici molto differenziati gli uni dagli altri. Tutti esprimono una straordinaria energia morale e umana, concentrata nell’intensità e nella fermezza dello sguardo. |
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