MINIMALISMO
Nasce negli anni ’60 in America e si basa sulla semplicità delle forme, sulla freddezza e la razionalità.
Vuole essere in palese opposizione rispetto al precedente Espressionismo Astratto e alla Pop Art. Con “minimal” si vuole definire un oggetto artistico che fonda le sue caratteristiche estetiche su una paradossale mancanza di contenuto artistico. Gli artisti minimalisti non vogliono in alcun modo far prevalere nell’opera qualsiasi tipo di soggettivismo o stato d’animo, puntano invece sull’oggettività, sulla neutralità assoluta. Quadri, sculture, installazioni dei minimalisti si basano su due principi teorici: forme geometriche semplici e rigorose (per un’estremizzazione delle idee astratte che traggono in qualche modo inspirazione da Mondrian); possibilità di delegare la realizzazione dell’opera ad altri, tecnici specializzati in grado di lavorare legno, ferro, plastiche, vernici, luci eccetera, in un processo produttivo molto vicino all’industrial design. L’apparente semplicità di linguaggio sottintende, in realtà, una complessità di contenuti che risultano difficilmente comprensibili in quanto espressi nei modi di una volontaria mancanza di “bellezza”, di “estetica” tradizionalmente intese. Questo fa del Minimalismo un fenomeno sostanzialmente elitario. È un’arte fondata sull’uso di forme primari ed elementari, spesso riprese dalla produzione industriale e sviluppate in sequenze primitive, animate da minime variazioni sul tema. Si usano quindi unità primarie e monolitiche. Il Minimalismo è caratterizzato da un processo di riduzione della realtà, dall’antiespressività, dall’impersonalità, dalla freddezza emozionale, dalla riduzione alle strutture elementari geometriche. La materia viene apprezzata solo per la sua fredda e inespressiva fisicità. Il valore del gesto è negato in favore di esecuzioni elementari e meccaniche, spesso anche seriali. I materiali usati sono generalmente freddi e impersonali, di tipo industriale ed edilizio (legno, metallo, formica, plexiglass, vetro, mattoni, tubi al neon). Le opere sono realizzate spesso con procedimenti industriali. I colori usati sono quelli del materiale stesso oppure il bianco e il grigio. FRANK STELLA (1936 - ) Frank Stella voleva fare dei suoi dipinti degli oggetti fisici a pieno titolo e non illusioni di qualcos’altro. Considera il dipinto un oggetto fisico, una superficie piatta con sopra la pittura, più che una metafora di qualcos’altro. Rifiutava inoltre le pennellate “intense” e le emozioni degli espressionisti astratti. Le sue opere sembrano quasi un commento sarcastico all’espressività soggettiva dell’action painting, visto che sono strisce colorate regolari e parallele, separate da sottili intercapedini bianche. Le sue opere seguono molti motivi e variazioni diverse, prova anche a modificare la forma e la struttura dei supporti. Verso la metà degli anni ’60 approdò a tele dentellate a forma di V. Cerca di eliminare emozioni, vibrazioni e suggestioni, ma nella sua sostanziale piattezza produce un effetto complessivo di particolare equilibrio. Per rendere le opere ancora meno emozionali, a volte Frank Stella usa smalti metallici e le monta su telai molto alti che le fanno diventare più oggetti tridimensionali che quadri. Questo artista elabora una nuova pittura impersonale, oggettuale, il cui processo di realizzazione risulti evidente a prima vista (in assoluta opposizione a quella espressionista astratta). ELLSWORTH KELLY (1923 – 2015) Ellsworth Kelly è stato un altro artista americano che scompose la pittura nelle sue forme basiche. Usò colori accesi, uniformi e contrastanti, spesso stesi su pannelli multipli organizzati in strutture modulari semplici, per realizzare opere impeccabili dai bordi netti. Sarà inoltre tra i primi a impiegare tele con forme sagomate e non regolari. Kelly, e anche Stella, liberarono il colore e la forma da “ogni ruolo descrittivo o funzionale”, invece, era interessato a ciò che accadeva nell'atto di vedere. Era curioso dello spazio tra il dipinto e la persona che lo osservava. Alla fine ha abbandonato i vincoli delle tipiche tele quadrate o rettangolari negli anni '60. Invece, ha usato una varietà di forme. DONALD JUDD (1928 – 1994) Le sue opere sono strutture tridimensionali, rettangolari per lo più, organizzate nello spazio come moduli che si ripetono in sequenze semplici o in progressione geometrica. Judd usa materiali come il rame, il ferro, l’acciaio e il plexiglass per evidenziare le loro potenzialità visivi, tattili e in generale sensoriali. I materiali utilizzati sono quindi di tipo industriale proprio per accentuare l’attenzione sull’oggettualità delle strutture e i volumi sono sempre posizionati in modo da ottenere una perfetta divisione tra pieni e vuoti. Molte delle sue opere potremmo definirle “mensole” disposte in serie, con variazioni di ritmi. La combinazione di due o più materiali fa sì che esse appaiano diverse da ogni punto di vista e secondo il mutare della luce. Con queste strutture elementari, Judd scandisce lo spazio espositivo in un ritmo serrato, ma sospeso. L’intervallo tra ogni volume è uguale allo spessore del volume stesso, a scandire un ritmo regolare di pieni e vuoti. Per amplificare l’impersonalità delle opere, questi moduli sono lavorati dalle industrie. Sono composte di metallo lucidato o verniciato. Materiali freddi e poco comunicativi, soprattutto se prendono forme squadrate ripetute in sequenza. Proponendo queste figure solide e regolari iterate, puntando sulla serialità, contribuisce a far scadere ulteriormente l’aspetto formale e a farne davvero una presenza minimale. Sono installazioni che modificano l’architettura dello spazio nel quale sono inserite e offrono delle percezioni diverse in base alla posizione dello spettatore. E’ il nulla, ma un nulla purissimo, perfetto nella forma e nel colore proprio perché ogni elemento è prodotto industrialmente senza il tocco artistico e personale dell’autore. Le sue opere di chiamano tutte Senza titolo perché qualsiasi altra denominazione potrebbe innescare un’interpretazione da parte dell’osservatore. DAN FLAVIN (1933 – 1966) Era un artista minimalista americano noto per le sue sculture create utilizzando esclusivamente lampadine fluorescenti disponibili in commercio e i loro dispositivi. Ha creato opere che andavano da una singola lampadina posizionata ad angolo rispetto al pavimento, a massicce installazioni site-specific. Flavin si è concentrato soprattutto sui fenomeni luminosi generati dai tubi al neon. Le sue opere sono costituite da combinazioni semplici e seriali di tubi al neon che danno vita a installazioni di spazio-luce di fredda, ma intensa suggestività perché alterano la nostra percezione dello spazio. Le uniche variabili sono l’orientamento verticale, orizzontale od obliquo, nonché la variazione della lunghezza dei tubi. Fa una serie di opere in cui vediamo lo stesso numero di tubi al neon, composto in modo da dare luogo a forme fisiche e ad auree luminose diverse. Usa il tubo al neon quindi come fosse un segno e un colore, che stabilisce (per forza intrinseca) i rapporti di luce e ombra e riesce ad animare in profondità gli spazi. SOL LE WITT (1928 – 2007) Chi osserva le strutture di LeWitt si trova davanti a degli impianti elementari, capaci di non coinvolgere emotivamente l’osservatore. L’elementarità insita nell’arte minimalista viene tradotta da LeWitt in puro concettualismo, grazie all’ausilio di complessi calcoli matematici. In lui l’emotività soggettiva si fa da parte per lasciare spazio alla logica del progetto e alla pratica dell’esecuzione. Parte da delle premesse ideologiche fissate, delle vere e proprie istruzioni, per poi eseguirle o farle eseguire, ma l’esecuzione può condurre a un risultato imprevedibile. In questo modo valorizza lo “staccarsi” dalla sua opera e quello che viene esposto è lo schema per realizzare il suo lavoro, le istruzioni, e il certificato di vendita delle istruzioni (è quella l’opera d’arte che viene venduta). Progetta schemi di carattere sistematico e seriale, quindi sfrutta le logiche matematiche. Dal 1965 decide di ridurre il suo linguaggio al quadrato e al cubo e al colore bianco con cui genera rigorose combinazioni formali. LeWitt ha continuato a lavorare con forme di base come sfera, triangolo e cubo, solitamente in materiale liscio e bianco. Le costruzioni spaziali di LeWitt mostrano spesso struttura delle nervature di bianco verniciato cubi o parti di esse, in serie variate e disposte secondo moduli particolari. Il sistema, basato su decisioni riguardanti, tra le altre cose, la forma, struttura, l'ordine e le dimensioni sono sempre fisse concetti che costituiscono la base per tutto il suo lavoro. ROBERT MORRIS (1931 - 2018) Non è troppo affascinato dall'high tech né dal mimetismo con il design, anzi scegli materiali più «morbidi» come il legno, stracci, pezzi di feltro che installa in grandi interventi che includono lo spazio e qualche volta lo tagliano. Già dai primi anni ’60 propone opere che distruggono la forma ordinata, statica e determinata in ogni suo aspetto dall’artista; rifiuta una definizione a priori della forma dell’opera. Famose sono le sue sculture in feltro, strutture fatte con un materiale che conserva le forme che gli vengono imposte, ma che col tempo si deformano seguendo il loro stesso peso, quindi sfrutta le leggi fisiche. L’opera è quindi qualcosa di non definitivo, come un lavoro in corso, il cui processo solo in parte è controllato dall’artista. Stendeva immensi fogli di feltro sul pavimento del suo atelier, tagliandovi trame lineari, successivamente appese, come estenuate, a ganci da cui pendevano con irregolarità inquietanti che sempre tendevano a mettere in crisi la definizione formale e fissa dell’opera. RICHARD SERRA (1938 - ) Il suo lavoro si basa sull’accettazione dei movimenti interni dei materiali. Tra i suoi primi lavoro ci sono nastri di feltro appesi al muro e dei fogli di gomma vulcanizzata, sistemati in modo che fosse il loro stesso peso a determinare le loro forme. Dopo inizia una serie di grandi sculture geometriche di ferro non trattato, da posizionare all’esterno. L’agire delle intemperie su queste lastre lascia il segno, la ruggine crea i propri disegni, dimostrando il potere assoluto della natura su di noi. Si tratta delle sue celebri opere «curve», rappresentate spesso da spirali labirintiche in lamina in acciaio, oppure superfici concave e convesse elevate ad altezze e distanze variabili che creano un percorso curvilineo. L’artista organizza intenzionalmente le opere per creare ambienti con effetti diversi a seconda dei movimenti e della percezione del visitatore che vi cammina all’interno. Fare una passeggiata all’interno delle sue sculture gigantesche è come entrare in un labirinto in continuo mutamento. |
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