HENRY MOORE (1898 – 1986)
Il linguaggio specifico della scultura, per parte sua, ha continuato a rinnovarsi come quello della pittura anche se a ritmo più lento. La scultura è andata abbandonando le forme e i materiali più aulici e il suo aspetto più celebrativo (impensabili dopo gli anni delle dittature). Dagli anni ’30 le sculture di Moore iniziano a diffondersi soprattutto in parchi e giardini, compenetrandosi con la natura. Nella scelta dei temi rimane piuttosto tradizionale, prediligendo la donna sdraiata e la madre col figlio. La tecnica asseconda la materia e la lavora come farebbe la natura, smussando angoli ed escrescenze. Pietra e bronzo vengono modellati in modo da dare alle superfici una grande calma. La figura umana resta riconoscibile, ma il suo stile si colloca al limite dell’astrazione. Le masse piene assumono tanto valore visivo quanto le zone cave, che diventano fondamentali per il modo in cui reagiscono alla luce. I vuoti, nelle sculture di Moore, le perforano da parte a parte, per rivelarne simbolicamente la realtà più intima e nascosta. I levigati volumi delle sue sculture, continuamente svuotati da quei buchi inquietanti, esprimono tutto il mistero e il dramma dell’umanità. La loro epica grandezza sta proprio nell’essere veri e concreti come un antico legno eroso dal mare, eterni come le rocce e i metalli di cui sono fatti. FIGURA GIACENTE (1936). La forma prende spunto da un soggetto figurativo, ma subito dopo tende a diventare astratta. Questa scultura non è semplicemente collocata in uno spazio, ma è lo spazio stesso a entrare in lei, in un continuo e affascinante rincorrersi tra il fuori e il dentro. Questa scultura sembra opera della natura, più che della mano di un uomo. La forma levigata del legno e della pietra richiamano l’erosione degli elementi e allo stesso tempo le morbide curve di un corpo femminile. Assomiglia anche a una scultura primitiva, realizzata intagliando direttamente il legno. Le sue sculture hanno la grandiosità di ciò che la natura crea, hanno la potenza e la maestosità delle rocce e delle montagne: la loro ambientazione ideale è all'aperto, dove possono fondersi con lo spazio naturale. MADRE DISTESA CON BAMBINO (1974 – 1975). La grande figura reclinata e stilizzata della madre è attraversata da due grandi concavità. In basso si trova il bambino protetto dal grande braccio della madre che è l’unica forma che rimanda in modo chiaro all’anatomia umana. La madre invece è rappresentata distesa e di profilo e il contorno superiore della figura modella i suoi fianchi. Moore crea una maternità da intendersi in senso ampio e generale, come una forza primigenia e misteriosa. Forme geometriche e forme organiche sono compresenti perché l’arte è un fenomeno complesso e totalizzante e che quindi deve comprendere in sé tutti gli aspetti della realtà, anche quelli apparentemente contraddittori. Lo spazio sembra scavare all’interno della forma e penetrare nelle concavità della figura lasciando delle tracce del suo passaggio. È quindi una figura aperta verso l’esterno che si offre inerme agli agenti atmosferici e all’azione dell’aria che la avvolge. |
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Influenzata soprattutto dalla scuola newyorkese degli espressionisti astratti, l’astrazione dominò la pittura degli anni ’50, per poi lasciare campo al pop e all’arte concettuale degli anni ’60 e ’70. Tuttavia alcuni artisti ignorarono questa tendenza e continuarono a dipingere figure.
Molti pittori figurativi erano britannici di adozione e formarono un gruppo artistico a Soho, nel centro di Londra. Pur essendo amici e condividendo una medesima visione, i protagonisti del gruppo (Francis Bacon, Lucian Freud, Frank Auerbach e Leon Kossoff) adottarono stili di pittura molto diversi tra loro. FRANCIS BACON (1910 – 1992) Non può essere accomunato a nessun movimento del Dopoguerra e viene considerato il maggior pittore inglese del ‘900. Maltrattato brutalmente dal padre violento, allontanato a 16 anni da casa, Bacon diceva di essere stato educato a “pensare alla violenza”. Quella stessa violenza che lui interpretò come forza e feroce energia nei rapporti con i suoi amanti e con l’arte. Sulle sue spalle c’era anche quella crisi di umanità generata dalla 2° Guerra Mondiale e l’aspra tensione tra Inghilterra e Irlanda. Bacon iniziò a dipingere seriamente durante la guerra. Rimase colpito dal Cubismo, ma lui non scompone lo spazio, quanto lo torce fino all’estremo. La sua idea era quella di comunicare direttamente con il “sistema nervoso” e quindi il suo processo creativo talvolta assomigliava più a una battaglia che a una costruzione ordinata, in cui era l’istinto a guidare al sua mano. Bacon dichiarò di voler dare l’impressione che i quadri “fossero attraversati da un essere umano che ha lasciato una scia della sua presenza…come una lumaca lascia la bava”. Spesso ritraeva soggetti disperati e isolati, con il corpo distorto e i tratti facciali dipinti in uno stile sottile, levigato e sbavato che li avvicinava a creature da incubo. Le figure mute e tormentate talvolta sono colte in un urlo che riporta alla memoria gli orrori del conflitto e riflette le tendenze sadomasochiste dell’artista. Bacon usava foto e non modelli viventi per costruire le immagini e manipolarle, dipingeva solo soggetti conosciuti e, negli ultimi anni del suo lavoro, crebbe molto la quantità di autoritratti. Il suo stile compie un processo di sempre maggior degradazione del corpo umano. Si tratta di una rappresentazione totalmente soggettiva che colpisce lo spettatore con immagini cupe o colorate e abbaglianti, dove i corpi dei personaggi sono scomposti, deformati o trasformati in entità mostruose. La mostruosa deformazione delle fisionomie delle figure sembra voglia far apparire i lati oscuri dell’anima, quelli spesso nascosti dietro le apparenze. I suoi dipinti sono formati da fondi piatti in cui viene appena accennata una costruzione prospettica, quella che spesso sembra una gabbia che imprigiona il soggetto. Al centro, sola, spesso sta la figura umana deformata da smorfie animali e spasmi di dolore fisico. Bacon rappresenta gli esseri umani soli, derelitti e nelle situazioni più degradanti; vuole suggerirci la solitudine umana e la regressione dell’uomo a uno stadio primordiale della scala evolutiva. Il tema dell’angoscia esistenziale e della degradazione morale dell’uomo nella società contemporanea è tradotto da Bacon in immagini che sembrano corrompersi sotto gli occhi dell’attonito spettatore. Bacon ci conduce all’interno della propria psiche, alla scoperta della sua dimensione più profonda. Il pittore piega la realtà oggettiva alle proprie esigenze espressive e tutto concorre a delineare il suo profilo psicologico, il suo stato di profondo spaesamento e di lacerante solitudine. Spesso per la scelta dei soggetti si serve di foto, dalla cui tecnica trae anche il suggerimento delle immagini sfuocate, deformabili e deformate. La tecnica gioca su una compenetrazione tra ordine e disordine: i fondi sono uniformi mentre le figure sono ottenute con grumi di colore mescolato direttamente sulla tela o lanciato su di essa usando le dita. Anche attraverso la tecnica, Bacon vuole evidenziare il contrasto tra mondo pensato come razionale e corpo pieno di necessità fisiche. La sua pittura “sbavata” crea un effetto sfuocato come quello del ricordo di un incubo che svanisce. Spesso Bacon usa la forma a trittico di chiara derivazione religiosa, recuperando anche la simmetria dei pannelli laterali rispetto a quello centrale. La figura umana dipinta è la stessa, ma i pannelli di destra e di sinistra la ritraggono da punti di vista diversi e convergenti verso l’immagine frontale dipinta al centro. Spesso Bacon è stato considerato il corrispettivo pittorico del mondo letterario di Samuel Beckett, in cui si muovono figure senza speranza. STUDIO DEL RITRATTO DI PAPA INNOCENZO X DI VELÁZQUEZ (1953). Si tratta di uno studio (cioè un esercizio) ispirato al Ritratto di Innocenzo X che il pittore spagnolo Diego Velázquez dipinse tra il 1649 e il 1650. La figura, tratta dal passato, è carica di espressività ed è raffigurata in un contesto buio e claustrofobico. Il Papa viene sommariamente ritratto cambiando in viola il colore della mantella e del copricapo e trasfigurando il volto risoluto e irascibile in un volto urlante, completamente disfatto da pennellate verticali nere, distese su gran parte del corpo. Queste pennellate verticali appaiono come richiami ai tendaggi alle spalle di Innocenzo X nell’originale, ma qui vengono trasformati in una sorta di flusso energetico che tende a cancellare la figura. Il sontuoso trono dipinto da Velázquez viene ridotto da Bacon a una serie di linee grafiche di colore giallo quasi fluorescente, prolungate fino a delimitare un ring di box. Nella parte inferiore invece le pennellate cambiano direzione e diventano radiali. Il rosso tendaggio che Velázquez aveva dipinto sullo sfondo, lascia il posto a una trama tetra, intessuta dalle stesse striature nere utilizzate sopra il volto che sciolgono completamente la visione puntuale e realistica che era stata portata avanti dal pittore spagnolo. Il pontefice dipinto dal grande maestro spagnolo era un uomo forte, risoluto, sicuro di sé, e come tale fu rappresentato. L’Innocenzo X di Bacon è un uomo completamente solo, disperato e terrorizzato, che non ce la fa più, che si ribella al peso della sua autorità ma che, prigioniero di una gabbia, del suo ruolo, non può scappare, giacché il potere lo intrappola. Urla a squarciagola, come se il suo trono si fosse trasformato in una sedia elettrica, investendolo di una energia distruttiva che lo consuma fra dolori atroci. I lineamenti sono stravolti, deformati e quasi cancellati fino a perdere l’originale connotazione umana, Il volto urlante di Innocenzo X, insomma, non è più il ritratto di un singolo individuo, ma presta il volto all’umanità intera. E quel grido diventa urlo interiore, capace di far emergere la verità, di smascherare la finta tranquillità, la finta gioia, il finto ottimismo di una società falsa e ipocrita che aveva sconvolto il mondo con una guerra mondiale. In tal senso, davvero Bacon può essere considerato il più degno erede di Munch. |
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