NOUVEAU RÉALISME
Nasce agli inizi degli anni ’60 ed è la risposta europea al New Dada americano.
Il termine “Nouveau Réalisme” fa riferimento al Realismo di fine ‘800 che descriveva la realtà senza abbellimenti, nella sua banale quotidianità. Questo atteggiamento adesso viene traslato nella nuova società dei consumi, attraverso gli oggetti che l’artista sceglie come più adatti alla rappresentazione del suo tempo. Il Nouveau Réalisme deriva dal Dadaismo, di cui riprende l’atteggiamento dissacrante nei confronti dell’arte tradizionale. A questo, i nuovi artisti, aggiungono elementi più specificatamente pop, come la fredda analisi critica della società dei consumi. L’oggetto decontestualizzato che il Dadaismo aveva elevato a opera d’arte, conferendogli una dignità estetica, il Nouveau Réalisme lo vede nella sua banale oggettività, come elemento di uso comune e quotidiano. Quindi, rispetto al Dadaismo, il messaggio adesso è più drammatico, di impotenza di fronte alla società contemporanea. Il Nouveau Réalisme ha un’ossessione per le merci, il denaro, il profitto, la comunicazione, il cibo (o meglio gli scarti). Questo accade perché l’Occidente sta vivendo un momento di grande fervore e ricchezza. Nelle strade e nelle case iniziano a entrare oggetti nuovi che vengono subito vissuti come indispensabili (automobili, frigoriferi, poster, lavatrici, detersivi, cibi in scatola e bevande confezionate). Questi si pongono immediatamente come nuovi status symbol, il cui possesso distingue e divide le classi sociali. Spesso però vengono usati al livello di scarti e rifiuti. Se un oggetto che ha terminato il proprio ciclo vitale viene riutilizzato all’interno di un’opera d’arte, assume un valore temporale differente, molto più forte, più intenso, e potrebbe addirittura durare per l’eternità, l’esatto opposto del bene di consumo. Il gruppo dei fondatori del movimento, per la maggioranza francesi, sono: Yves Klein, Arman, Daniel Spoerri, Jean Tinguely, César, Mimmo Rotella, Piero Manzoni. Seppur con estrema varietà di linguaggi, questo gruppo di artisti persegue un intento comune e collettivo: la ricerca di un metodo di appropriazione diretta della realtà attraverso il quale attuare significhi riciclare poeticamente il reale urbano, industriale e pubblicitario. Quindi i loro stili partono tutti da brandelli del presente. L’artista poi, con la sua azione personale, compie un processo di dissemblage perché l’oggetto di consumo ordinario non viene semplicemente esposto, ma sottoposto a un’azione distruttiva, metafora della violenza che la società esercita sui valori morali. Gli oggetti scelti sono usati e consunti, di scarti, scomodi, degradanti, cioè materiale da buttar via. Ricordiamo a proposito le compressioni di ferraglie, scelte nei “cimiteri di automobili” da César e i manifesti strappati dai passanti, recuperati ed esposti da Raymond Hains e da Mimmo Rotella. Oppure gli strumenti musicali incorniciati dopo esser stati fatti a pezzi da Arman e le opere di Spoerri che immortalano e fermano un istante facendolo diventare eterno. PIERO MANZONI (1933 - 1963) Il suo percorso personale è volto da un lato a dissacrare la tipologia romantica dell’artista geniale, capace di far diventare oro ciò che tocca, dall’altro lato a mettere in luce una mitologia collettiva fatta di eventi primari. Contro al figura del genio, propose opere che deridevano ed esaltavano la figura dell’artista. Nella scia dei più ampi dettami dell'arte concettuale, Manzoni identifica nell'idea che precede l'opera la vera essenza dell'opera stessa, perché il progetto, il gioco sottile dell'intelligenza, la formazione del pensiero sono i veri prodotti artistici, l'opera non è che traduzione materiale di un discorso e di una riflessione filosofica. Manzoni dà il suo personalissimo contributo a rifondare il concetto di arte e di realtà azzerando tutte le pratiche tradizionali culturali, etiche, morali, per lasciar spazio al pensiero e alla sperimentazione più spinta. Pur nel suo spirito goliardico, Manzoni sa provocatoriamente proporre la riflessione su questioni relative al fare artistico e alla crisi del concetto di autore che sono state determinanti per l’arte concettuale. Tra queste, domande come: chi è l’artista? In che termini “vale” la sua firma? L’opera deve durare nel tempo o può essere effimera? Cosa è arte e cosa non lo è? Chi lo decide, il pubblico o l’artista? Le sue risposte sono a volte ironiche, a volte provocatorie, altre volte scandalose. SERIE DELLE SCATOLE-LINEE (dal 1959). Sono astucci cilindrici di legno (tutti debitamente firmati) in cui Manzoni introduce, come un antico papiro, dei lunghi rotoli di carta sopra i quali traccia una linea. Su ogni astuccio c’è un’etichetta dove è meticolosamente riportata la lunghezza della linea contenuta all’interno. In una di queste scatole c’è scritto “Contiene una linea di lunghezza infinita” ed essa contiene un foglio di carta incollato ad anello e la linea che vi è disegnata sopra è infinita perché non ha inizio né fine. Tutte rinchiuse in scatole e quasi mai esposte srotolate, se non a scopo dimostrativo, le Linee venivano prodotte e nascoste: esistono, ma si possono solo immaginare. L’esistenza della Linea, evocata soltanto dall’intervento dell’artista (che ha firmato l’etichetta, garantendone la lunghezza, il mese e l’anno della realizzazione) può essere visualizzata dal pubblico solo attraverso uno sguardo interiore, mentale. MERDA D’ARTISTA (1961). Sono una serie di confezioni, simili a quelle di carne in scatola (che proprio allora iniziavano a circolare in Italia), all’interno delle quali Manzoni ha sigillato i propri escrementi. Ognuna reca all’esterno una scritta, in diverse lingue: “Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio del 1961”. Quest’etichetta, visto la natura del contenuto, assume un significato grottesco e caricaturale. La carta che avvolge la scatoletta è punteggiata dal nome dell’artista ripetuto continuamente, come una garanzia di qualità del prodotto. Sopra la scatola è firmata dall’artista e contrassegnata dal numero di serie. Secondo Manzoni le scatolette dovevano essere vendute al prezzo di 30 grammi di oro, perché la sensibilità artistica deve essere pagata a peso d’oro. In pieno boom economico, l’artista mercifica se stesso e i suoi scarti, mettendoli in confezioni da supermercato. Ironizza sul fatto che il consumatore compri qualsiasi cosa sia di marca (sia d’autore), sul feticismo del collezionismo e sulla mitizzazione romantica dell’opera d’arte, che rende accettabile qualsiasi risultato purché esso “esprima” l’intimo dell’artista. Ci mostra come le cose cambino di valore a seconda di chi le fa e ci costringe a ragionare sull’ “autorità” dell’autore. Producendo le scatolette, sarcasticamente, Manzoni propone qualcosa di veramente personale e intimo (la merda) nella certezza che, se adeguatamente confezionata, firmata e autenticata, sarebbe stata accolta come opera d’arte e quindi profumatamente pagata. OPERE D’ARTE VIVENTI (1961). Manzoni qui porta la provocazione alle estreme conseguenze e all’interno di una mostra presenta due nudi femminili, cioè due modelle vive, sui cui corpi egli si limita ad apporre la propria firma. Non basta la firma dell’artista a rendere quel corpo un’opera d’arte, Piero Manzoni accompagna le sue opere con degli attestati di autenticità apponendo un timbro di colore diverso su ogni documento, rosso se la persona è interamente un’opera d’arte e sarebbe rimasta per sempre tale, giallo se sono solo alcune parti del corpo ad essere classificate come opere d’arte, verde se vincolato ad attività quali dormire o correre, porpora se il carattere artistico del corpo era stata comprato. L’atto artistico, circoscritto alla semplice firma, sancisce l’appartenenza di un oggetto (qualunque esso sia) a una dimensione diversa da quella quotidiana. Non necessariamente migliore o più elevata, ma diversa. La performance non si limita al gesto provocatorio della firma, ma coinvolge anche la presenza di due modelle nude: uno scandalo nello scandalo. Per la società dei primi anni ’60 il nudo integrale era ancora un vero e proprio tabù. |
|