PALEOLITICO (30.000 – 10.000 a.C., Homo Sapiens Sapiens)
L’uomo del Paleolitico vive in un ambiente freddo e ostile (siamo durante l’ultima glaciazione), vive in piccoli gruppi familiari, è nomade (perché vive della caccia), vive nelle grotte (per via del clima rigido). La sua vita si svolgeva in maniera semplice: i gruppi umani erano composti da poche persone costituenti una famiglia o poco più, erano nomadi e il nomadismo teneva certamente conto delle stagioni, essendo imposto dalla necessità di seguire i branchi di animali da cacciare e dalla ricchezza di frutta spontanea nei boschi.
La vita veniva trascorsa principalmente nelle grotte, perché il clima era rigido, quindi i segni umani sulle pareti delle grotte sono sempre posti nelle parti più interne. In questo periodo l’uomo ha una concezione magica della vita: non riesce a spiegarsi i fenomeni della natura e li vede come spaventosi. L’arte rivela le inquietudini, i timori e le speranze di questi uomini. I disegni e i dipinti si trovano quasi sempre nei più oscuri recessi delle grotte, il più lontano possibile dall’entrata, e spesso anche in luoghi difficilmente raggiungibili. Quindi queste immagini non possono avere avuto una funzione semplicemente decorativa. Esse servivano per la celebrazione di riti propiziatori, il che è confermato, oltre che dalla segreta ubicazione, anche dai solchi di lance e frecce che ritroviamo sopra ai dipinti e dal modo disordinato in cui le figure sono poste e sovrapposte le une sulle altre. Le figurazioni sono legate ai problemi della sopravvivenza quotidiana e hanno la funzione di scongiurare gli eventi negativi, evocando il bene. Hanno quindi un carattere magico e, nello stesso tempo, un fine pratico. Raffigurando l’animale, l’uomo del Paleolitico vuole assicurarsi la sua cattura. L’atto figurativo diviene quindi un momento propiziatorio, una sorta di rito in cui, attraverso un forte processo di astrazione e di partecipazione emotiva, vengono anticipati eventi essenziali alla sussistenza dell’uomo. L’uomo primitivo non aveva una chiara distinzione tra immagine e realtà: dipingendo un animale essi intendevano ridurlo in loro potere e “uccidendone” la figura credevano di annullarne lo spirito vitale. L’elemento psicologico sottinteso consiste nella totale identificazione tra un essere vivente e la sua immagine, che ne è considerata l’anima. Gli animali sono rappresentati come figure isolate, benché possano essere sovrapposti gli uni agli altri e molti disegni possano trovarsi riuniti sullo stesso soffitto o parete. Lo stile è realistico perché proprio nella fedeltà al vero che era insita la possibilità della materializzazione dell’animale, che consentiva una “rituale uccisione” dell’immagine. Il momento magico sta nell’azione di dipingere e del simulare l’uccisione, non nel risultato, per questo ci sono molte sovrapposizioni fatte in tempi diversi. I dipinti sono caratterizzati da molte figure animali (rappresentate in modo raffinato) e da poche figure umane (molto stilizzate). Per le rappresentazioni degli animali si scelgono modelli significanti, cioè si colgono le particolarità di atteggiamento diverso dei vari animali, i particolari significativi, i profili immediati, le azioni-tipo. I contorni sono neri o incisi e poi sono riempiti con colori per dare tridimensionalità alla figura. Le pitture prendono spesso spunto dalla conformazione della roccia: forma e ondulazioni ispiravano la creazione di immagini ed erano usate per enfatizzare volumi e forme. Quindi i dipinti si adattano perfettamente alle sporgenze e agli incavi della roccia, acquistando un volume che le rende ancora più realistiche. Le figure umane sono invece dinamiche, stilizzate e monocrome, praticamente dei segni. Sono circa 400 i luoghi nel mondo dove sono state ritrovate pitture rupestri e si pensa che rappresentino solo una piccola parte di un più grande corpus di opere andate perdute che forse includevano la pittura del corpo e di pelli di animali. I pittori del Paleolitico non usavano tanti colori, ma ricavavano il rosso dall’ocra rossa (una terra derivante dall’ematite, pietra ricca di ferro), il giallo dall’ocra gialla (una terra derivante dalla limonite), il marrone da minerali ricchi di manganese (un metallo che tende a scurirsi se esposto all’aria), il nero che ricavavano dal carbone e dalla fuliggine (che ottenevano bruciando la legna) e il bianco dalle terre argillose macinate. Per trasformare i pigmenti in pittura venivano poi aggiunte ossa tritate o quarzo macinato e acqua, succo vegetale, grasso animale, sangue, midollo o urina. Le tecniche variano. Alcuni uomini preistorici iniziavano tracciando il disegno a carbone, altri usavano utensili di selce per incidere i contorni nella superficie rocciosa delle pareti. In origine, per applicare il colore si usavano mani e dita o tamponi creati con pelli animali, foglie, pezzetti di muschio o di licheni. Poi si cominciarono a fabbricare semplici pennelli con il pelo di animali o ad appuntire pezzi di argilla o di gesso da usare come gessetti. Per soffiare il colore sulle pareti e lasciare, per esempio, l’impronta della mano, sembra che alcuni soffiassero il colore direttamente con la bocca, o forse usavano ossi cavi o cannucce. |
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GROTTA DI CHAUVET (36.000 – 32.000 a.C.). E’ rimasta intatta fino al 1994, anno in cui è stata scoperta casualmente, perché una frana ne aveva sigillato l’ingresso 30.000 anni prima.
Ha un accesso difficile e numerosi cunicoli, forse doveva essere un santuario o comunque un luogo non abitato, ma rituale e sacrale. Sulle pareti della grotta di Chauvet sono dipinte e incise diverse figure di animali selvatici, tra le immagini sono riconoscibili bisonti, mammut rossi, gufi, rinoceronti, leoni, orsi, uri, cervi, cavalli, iene e renne che rappresentavano l’alimento principale dell’epoca. Si nota anche qualche immagine di lupi. Non mancano rappresentazioni di grandi felini scuri. La grotta presenta pitture e incisioni di diversi animali soli o ritratti in branco. Le figure hanno un dinamismo potente e la mancanza di definizione (molte sono abbozzate, ma non terminate) contribuisce a dare all’insieme un carattere magico e quasi ipnotico. Gli animali sono rappresentati in scene realistiche, hanno contorni tracciati con sicurezza e sul corpo e nei dettagli si vede l’uso del chiaroscuro che ne materializza i volumi. I soggetti sono quindi definiti da linee che non solo danno il senso della corposità agli animali, ma aiutano a rendere anche il loro movimento e addirittura la loro tensione muscolare. Sono linee quindi che raccontano come chi le tracciò avesse acquisito una conoscenza profonda della realtà, derivata dal contatto diretto con gli animali che cacciava. Particolarmente impressionante è la parete con decine di leonesse che inseguono un gruppo di mammut, bisonti e rinoceronti. Gli animali sono dipinti durante la corsa molto realisticamente. Le linee di contorno dei disegni cambiano di spessore e intensità, mostrando animali in primo piano e altri sullo sfondo. Le schiene e i musi sono sfumate per dare il senso del volume. I disegni rivelano una precisa conoscenza dell’anatomia degli animali e la capacità di creare senso di tridimensionalità e movimento. Gli animali rappresentati sembrano uscire dalla roccia stessa o rientrarvi a seconda della prospettiva e dei giochi di luce. In molte delle raffigurazioni di animali la sovrapposizione degli arti disegnati in differenti posizioni crea l’impressione di movimento. Non è però possibile affermare che l’intento del disegnatore fosse proprio questo. Si possono considerare forse tentativi di individuare la posizione migliore degli arti per rappresentare in modo più realistico la figura dell’animale. Ci sono anche numerose forme astratte che agiscono in contrappunto con le figure animali. GROTTA DI LASCAUX (15.000 a.C.). Il complesso di grotte a Lascaux (Francia sudoccidentale) fu scoperto per caso nel 1940 da quattro ragazzi che giocavano nel bosco. Con circa 600 dipinti le pareti rocciose rappresentano una moltitudine di animali, tra cui cervi, cavalli e tori. Gli animali sono stati realizzati eseguendo prima un’incisione sulla roccia, poi delineando il contorno con il carbone e in seguito riempiendo la forma con i colori giallo, rosso o marrone, infine sono stati aggiunti i dettagli (come ad esempio gli occhi o la criniera). I contorni sono tracciati con una sorta di pennello, i colori dei manti degli animali spesso sembrano spruzzati con la bocca o usando ossi cavi. Le forme dei corpi ci comunicano qualche volta anche la rotondità e il volume, caratteristica ottenuta anche sfruttando le naturali sporgenze delle pareti e del soffitto. Infatti le sfumature di colore sulla superficie irregolare delle pareti, suggeriscono la tridimensionalità dei corpi e la vitalità degli animali. Le sporgenze delle rocce quindi sono utilizzate per suggerire il volume degli animali. Questi sono rappresentati in una grande varietà di posizioni e atteggiamenti. Gli animali sono sempre raffigurati di profilo e in movimento, una qualità che ci ricorda l’impressione che l’uomo preistorico doveva avere di loro. L’inaccessibilità del luogo originale rende improbabile l’ipotesi di una funzione solamente decorativa, e in ogni caso la sovrapposizione delle sagome degli animali a immagini precedenti diminuisce il valore estetico delle opere. GROTTA DI ALTAMIRA (14.000 – 12.000 a.C.). La grotta di Altamira è un insieme di corridoi e camere che corre per 270 metri all’interno del monte Vispieres. L’altezza dei cunicoli va da tre a sei metri. La caverna fornì spazi abitativi per gli uomini dell’epoca soprattutto nella parte anteriore. Sia le pareti che il soffitto sono decorati (per un totale di 200 m2 di superficie dipinta!). Le immagini dipinte sulle pareti raffigurano animali selvatici e mani umane. Le figure animali sono molto realistiche, i dettagli sono precisi e troviamo una tecnica più raffinata. Uno dei soffitti mostra un gruppo di animali tra i quali si distinguono bisonti, due cavalli, un cervo di grandi dimensioni e forse l’immagine di un cinghiale. Le figure dei bisonti sono raffigurate con diverse posizioni sul soffitto della grotta di Altamira. Gli animali sembrano colti in gruppo, gli artisti riuscirono a cogliere gli animali in posizioni naturali come quella del celebre bisonte accovacciato. Le figure dei bisonti sono semplificate e realizzate di profilo. Questa scelta si può spiegare con l’intenzione di rendere facilmente riconoscibili i bisonti raffigurati nelle varie posizioni. Le figure sono state dipinte sul soffitto e sulle pareti in periodi diversi e si sovrappongono tra loro in modo casuale. I pigmenti presenti sulle pareti derivano da carbone vegetale, terra d’ocra ed ematite. Gli artisti preistorici utilizzarono le tinte calde fornite da elementi naturali che potevano trovare nel territorio. Prevalgono infatti colori bruni e ocra e contorni neri. Secondo gli archeologi i pigmenti furono diluiti e sfumati per creare deboli effetti di chiaroscuro. Il colore fu distribuito sulla roccia grazie a rametti o ciuffi di peli. Inoltre gli artisti utilizzarono le asperità della superficie rocciosa per creare effetti di rilievo. VENERI PREISTORICHE. Nonostante la diversità di forme tra le tante veneri preistoriche ritrovate nel mondo, possiamo notare degli elementi comuni: le piccole dimensioni (dai 3 ai 14 cm) e l’accentuazione delle caratteristiche femminili. Questo fa pensare che fossero degli idoli della fecondità, legati a qualche rituale magico-religioso o propiziatorio.
Sono statuette di figure femminili di regola rappresentate nude, generalmente in posizione eretta, le gambe sono strettamente unite, sono appuntite o arrotondate all’estremità (raramente sono rappresentati i piedi). Seguono una geometria rigida e spesso sono inscrivibili in un rombo. I piedi non sono raffigurati, le braccia sono molto sottili o mancanti, la testa viene rappresentata in modi differenti. Seno, ventre, cosce, natiche, sono accentuate in modo innaturale. Tuttavia, anche nelle più estreme accentuazioni dei dettagli, si conserva una sensibilità veristica. Rappresentano la fertilità e il loro significato magico-propiziatorio ne motiva le deformità. Scolpendole non si cerca di essere fedeli al vero, la realtà viene simbolicamente deformata per conseguire i risultati pratici voluti. Servivano a propiziare la fertilità della donna e dei campi (se seppellite nel terreno). Forse proprio per questo le estremità, come le mani e i piedi, sono poco accennate o mancano completamente. Spesso sono trasformate in protuberanze allungate, come se fossero davvero fatte per essere conficcate nella terra dei campi o nella roccia delle caverne. Sono scolpite in pietra o avorio, più raramente sono modellate in argilla e poi cotte. |
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