Nel I millennio a.C. l’Italia era abitata da diversi raggruppamenti etnici diversi per lingua, tradizioni ed espressioni artistiche.
Si possono individuare due grandi aree culturali: una a nord vicina alle civiltà del centro-Europa (arco alpino e pianura padana); una al centro vicina alla cultura del Mediterraneo. |
ITALIA SETTENTRIONALE E CENTRALE
CELTI
Nel I millennio a.C. i popoli dei territorio danubiani e delle steppe medio-orientali migrarono in Europa. Tra queste ci sono i CELTI.
L’arte celtica si distingue per al lavorazione dei metalli (monili, armi da parata, vasellame). Elemento caratteristico è la ricchezza ornamentale che annulla ogni intenzione naturalistica e narrativa. I soggetti sono legati alla guerra e agli animali (anche magici e fantastici). L’arte celtica è caratterizzata da una forte astrazione geometrica, vengono mantenute solo le linee essenziali della figura rappresentata o addirittura solo forme astratte (spirali, interlacciate, ecc.). Inoltre è un’arte che non lascia spazi vuoti e riempie tutte le superfici a disposizione. In breve, l’arte celtica è caratterizzata dal suo simbolismo e dal suo gusto per la geometria, producendo un senso di “caos ordinato” con le sue forme variegate ma simmetriche. Non ignora un certo naturalismo , ma definisce ciò che viene espresso sfuggendo al realismo totale. Tipicamente, l'arte celtica è arte ornamentale che offre le sue opere più spettacolari nel campo della decorazione, evita le linee rette e usa solo occasionalmente la simmetria, senza l'imitazione della natura centrale nella tradizione classica, che spesso coinvolge un simbolismo complesso. L'arte celtica ha utilizzato una varietà di stili e ha mostrato influenze di altre culture nei loro nodi, spirali, motivi chiave, lettere, zoomorfi, forme vegetali e figure umane. |
LIGURI
STATUE-STELE DELLA LUNIGIANA. Lo stile di vita semi nomade-pastorale determinò, probabilmente, l'usanza di segnalare aree specifiche degli itinerari più importanti con monumenti di grandi dimensioni come le statue stele. Esse infatti possono trovarsi indifferentemente sia in pieno ambiente naturale, che in aree abitate od in corrispondenza di sepolture. In un caso le statue stele potevano rivestire significati simbolici e astratti, legati alla sfera del culto religioso, e rappresentare immagini di divinità celesti, nell'altro potevano raffigurare personaggi reali viventi o defunti che, comunque, dovevano aver avuto una posizione sociale emergente all'interno della comunità. Le statue stele potevano rappresentare immagini di entità protettrici o di personaggi reali posti come punti di riferimento o di "guardia " alla sommità dei villaggi, in zone di caccia, di transito o di interesse economico. Sono una sorta di menhir posti a segnare sepolture.
Sono incise a bassorilievo e raffigurano schematicamente soggetti dalle sembianze umane. Si nota la persistenza di forme e schemi fissi. Le statue stele raffigurano con tratti sempre stilizzati uomini, nella loro funzione di guerrieri e quindi armati con pugnale e, a volte punte di lancia, o donne, caratterizzate costantemente dalla presenza dei seni e, a volte, di ornamenti. Nelle statue-stele non viene data importanza ai tratti somatici del volto, spesso solamente accennati o resi con astratti grafismi (volto a T), né ad altre parti del corpo, tanto che spesso sono omesse le braccia e i piedi sono rappresentati solo in rarissimi (e più tardi) esemplari. |
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PICENI
Esemplari del linguaggio piceno sono le stele rinvenute in una necropoli presso Pesato. Riproducono scene di caccia e di battaglia. L’organizzazione delle figure non segue una coerenza compositiva, esse sono affastellate, si dispongono su piani diversi, senza costruire uno spazio unitario.
La figura umana è riprodotta (nel VII secolo a.C.) con piccole statue in bronzo descrittive ed essenziali come le stele. Dal VI secolo a.C. si realizzano invece opere imponenti di carattere funerario poste a segnalare sepolture. GUERRIERO DI CAPESTRANO (VI secolo a.C.). E’ una scultura in calcare dipinto, stava in un sepolcro del re e riproduce un guerriero o un capo tribù. Il guerriero indossa un elmo da parata, delle protezioni per il corpo e una maschera forse funeraria. La figura emerge con chiarezza da ampie forme geometriche che però non appaiono astratte, ma organiche. La rigidità della posa e il volto con la maschera rimandano all’iconografia del defunto. Ombre profondissime si contrappongono ad ampie superfici levigate esprimendo un senso di forza e maestosità. Alla possente plasticità del corpo, riassunto in masse carnose e all’espressione un po’ attonita del volto dai tratti schematizzati, si contrappone la resa minuziosa dei numerosi dettagli incisi sulla superficie. |
ITALIA MERIDIONALE E INSULARE
TOMBA DEL TUFFFATORE (Paestum. 480 – 470 a.C.). Le quattro lastre laterali e quella superiore sono dipinte. Gli autori sono due, di formazione greca. La tecnica è quella a fresco su pietra calcarea; è sommaria e rapida, ma sono visibili dalle linee preliminari.
E’ la più antica testimonianza di pittura parietale proveniente da una città greca. Sulle lastre laterali corte sono raffigurati un tavolo con un grande cratere e tre persone in corteo. Sulla lastra superiore c’è rappresentato per intero un giovane nell’atto di tuffarsi da un pilone di pietra. L’ambiente è scarno: una piccola superficie d’acqua e due alberi stilizzati. La linea fluida e continua avvolge le figure disegnandone le forme. Le immagini sono campite da una stesura di colore omogeneo. C’è una completa assenza di volume. I colori sono ridotti a poche tinte. Dal punto di vista compositivo l’opera appare fortemente schematica. In alcune parti però si nota un’immediatezza espressiva del tutto nuova. E’ un tuffo simbolico: l’anima, sospesa tra gli elementi (terra, acqua e cielo), varcherà l’oceano fino all’oltretomba. |
ETRUSCHI
Dall’IX – VIII secolo a.C. al IV – III secolo a.C. la civiltà etrusca si sviluppò nella regione tra l’Arno e il Tevere, che comprende Toscana, Umbria occidentale, Lazio settentrionale. Questo popolo si evolve nel contesto delle culture presenti nella penisola, accogliendo apporti orientali, greci e dei popoli italici. Grazie ai contatti con la Magna Grecia, l’arte etrusca risente di influssi ionici. C’è una tendenza a imitare i modelli greci, pur mantenendo dei propri elementi distintivi: esigenze espressive realiste, uso della terracotta (al posto del marmo).
Costante, nel popolo etrusco, è il pensiero della morte. Il rapporto col divino è inoltre filtrato dalla visione cupa e pessimistica della morte. Per gli etruschi ogni espressione artistica è connessa profondamente con la religione. La religione diventa il tramite necessario per interpretare la volontà degli dei e per compiacerli in un rapporto di cieca accettazione del loro volere. Quindi la costruzione di templi (riccamente decorati) e di tombe (ben corredate di utensili e offerte) era forse il modo per ripararsi dai demoni infernali e dalle punizioni terribili ed eterne dell'aldilà. Per gli Etruschi, l'arte non è quindi una libera attività dello spirito (come invece la intendevano i Greci), ma è sempre legata a precise necessità di ordine pratico e religioso. Centrale è il culto dei defunti. Fuori dalle città venivano costruite imponenti necropoli (città dei morti) con tombe affrescate e ricche di ciò che si pensava potesse servire ad allietare la vita dopo al morte; quindi le necropoli seguivano gli schemi progettuali delle città dei vivi. LE CITTA’ Sorgono in posizione elevata per motivi di sicurezza o vicino ai corsi d'acqua (per favorire le attività agricole e l'allevamento) o all'incrocio di importanti vie di comunicazione. La presenza di possenti mura esterne dà forma alle città. Le mura erano costituite da grandi blocchi di pietra sovrapposti a secco e avevano quattro porte di accesso. All’inizio (VII – VI secolo a.C.) le città sono di forma irregolare e variano a seconda della morfologia del territorio. Dalla metà del VI secolo a.C. le fondazioni iniziano ad avere impianti prestabiliti e regolari, basati su una maglia di strade ortogonali (che poi sarà ereditata dai romani). Ogni città etrusca è una città-stato, governata da un re e dotata di una propria autonomia politica, militare e legislativa. La città etrusca, come quella greca, ha l’acropoli in cui ci sono edifici sacri. L’ARCHITETTURA Gli etruschi furono i primi (dal VI secolo a.C.) a usare in modo sistematico l’arco. Esso consentì di superare il limite del vecchio sistema trilitico. L'arco etrusco, che sarà poi imitato dai Romani, era costruito senza calce e i massi aderivano per pressione. Prima di costruire l'arco veniva realizzata una struttura in legno che serviva a sostenerlo finché non era terminato, poi si costruivano con i blocchi di pietra le due pareti verticali e l'arco stesso. Per ultima, al centro dell'arco, veniva sistemata la pietra più importante: la chiave di volta. Essa impediva alle altre pietre di cadere perché con il suo peso spingeva l'arco verso il basso. L’arco a tutto sesto, ovvero semicircolare, distribuisce il peso sovrastante lungo le pareti laterali. In questo modo è possibile aumentare l’altezza delle costruzioni e praticare grandi aperture lungo i muri. L’architettura etrusca ha una grande influenza nel mondo romano, soprattutto per quanto riguarda come progettare le città, la disposizione e la forma dei templi, l’uso dell’arco e volta e la costruzione di mausolei. Non usano materiali nobili come il marmo , ma pietre di bassa qualità in rinforzi, legno , mattoni e fango . I suoi edifici usano l’ arco e la volta con la colonna sul supporto, formando l’ ordine toscano , l’ordine che è legato al dorico. IL TEMPIO Per conoscere i templi etruschi ci basiamo su Vitruvio che li descrive nel suo trattato perché ci sono arrivate poche testimonianze poiché usavano materiali poveri e deperibili. Il tempio infatti era costruito in mattoni crudi e legno, veniva poi rivestito da elementi ornamentali in terracotta. Aveva una pianta rettangolare come quello greco ma si ergeva su un alto basamento di pietra con una gradinata d’accesso centrale ampia. Presentava un pronao sorretto da colonne e una o due celle sul fondo, ognuna dedicata a una divinità. Il tempio presenta un ricco apparato decorativo in terracotta policroma. Quindi ha una forma e una concezione diversa da quello greco: ha uno sviluppo assiale; l’assenza delle gradinate e del colonnato continui sul perimetro e l’alto podio, esaltano la facciata rispetto agli altri lati. Inoltre non è considerato la casa terrena di un dio, ma un luogo a lui consacrato, dove andare per interrogarlo, pregarlo e onorarlo. L’ORDINE TUSCANICO è una variante dell’ordine dorico: il capitello ha piccole dimensioni, le colonne hanno un fusto liscio e una base formata da un plinto rotondo sormontato da un toro della stessa altezza. Inoltre le colonne sono rastremate verso l’alto, ma non presentano entasi. Spesso le colonne sono di legno, vivacemente colorate. LE NECROPOLI Le città dei vivi sono andate completamente distrutte, quindi ci basiamo sulle necropoli che erano costruite in pietra. Le più importanti sono Cerveteri, Tarquinia e Populonia. Il rapporto di sudditanza verso le divinità, li porta a privilegiare le necropoli (che somigliano alle città dei vivi): si organizzano attorno a percorsi spontanei in età arcaica e poi in schemi più regolari col passare del tempo. Per gli Etruschi le tombe non erano solo il luogo di sepoltura, ma rappresentavano anche la sua casa, il luogo dove l'anima del defunto doveva trovare un ambiente familiare. Per questo motivo la tomba assume tutte le caratteristiche che aveva la casa di allora a livello di forme, dimensione e anche arredamento. Le tombe erano arricchite dai corredi funebri con ceramiche, gioielli e oggetti del defunto. Monumentali sculture erano poste a guardia delle sepolture, per scoraggiare le violazioni per trafugare i ricchissimi corredi. Mentre le pareti interne delle tombe erano vivacemente decorate con dipinti che spesso imitavano il cielo azzurro e che avevano colori chiari e luminosi, proprio per contrastare il buio eterno della morte. Le tipologie costruttive delle tombe variano a seconda del periodo, della natura del terreno e della classe sociale dei defunti. Le TOMBE IPOGEE (IX – VIII secolo a.C.) venivano costruite sotto terra, scavate nelle rocce o nelle caverne; sono sepolture sottoterra, a pozzo, e in questa buca nel terreno vi veniva collocata l’urna. Erano di forma rettangolare con le pareti in tufo. Nelle TOMBE A CAMERA (dal VII secolo a.C.) la camera sepolcrale è ipogea (sottoterra), ha una pianta circolare ed è segnalata all’esterno da un tumolo. Ha una copertura a pseudo cupola, ottenuta con grandi blocchi di pietra. Le tombe a camera generalmente sono introdotte da un corridoio più o meno lungo e stretto (dromos) con pendenza variabile secondo il terreno, a cielo aperto o in cunicolo. Queste tombe sono ricavate sottoterra negli strati rocciosi. La loro forma è molteplice: possono anche essere rettangolari, trapezoidali, quadrate, ed avere uno o più ambienti variamente collegati. Le TOMBE A THOLOS (VII – VI secolo a.C.) all’esterno sono delle piccole colline di terra sostenute da una base in muratura. I tumuli, a pianta circolare, poggiano su una struttura cilindrica, il tamburo. Si articolano in una o più camere sepolcrali. Si tratta di una derivazione dall'architettura micenea. Il tholos era una tomba dedicata alle sepolture regali; in essa appare uno dei primi esempi di cupola dell'antichità. Costruito tagliando una collina e disponendo grandi pietre in cerchi concentrici sovrapposti, fino a chiudere completamente la sommità dell'ambiente conico che ne deriva, il tholos viene successivamente ricoperto di terra, che ricostituisce la collina originaria. Un corridoio, lasciato libero fra due pareti di pietra, conduce all'accesso della tomba. All'interno in un piccolo ambiente scavato accanto al grande vano con la cupola, era collocato il sarcofago del re. Gli edifici funerari più complessi sono formati da camere disposte attorno a un atrio che si prolunga verso l’esterno in un corridoio di accesso. Nella tomba si aggiungeva un ricco corredo funebre (vasellame, arredi, suppellettili, gioielli) per testimoniare l’amore per il lusso e le possibilità economiche. Le TOMBE A EDICOLA sono costruite in pietra, totalmente fuori dal livello del terreno. Vengono chiamate "a edicola" perché all'esterno hanno la forma di un tempio in miniatura (in latino aedìcula=tempietto). Infatti hanno una pianta rettangolare e una copertura a due spioventi (come sicuramente avranno avuto anche le antiche case etrusche). Queste tombe venivano usate per seppellire gli aristocratici. |
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LA CERAMICA (COROPLASTICA = scultura in terracotta)
La terracotta è usata spesso per decorare l’architettura: lastre e antefisse dipinte (lungo la gronda di un edificio), acroteri (sculture a tuttotondo messe all’apice dei frontoni o sul colmo dei tetti). TECNICA DEL BUCCHERO: ceramica nera, fine e leggerissima, prodotta dagli etruschi per realizzare vasi. La colorazione nera è ottenuta con una cottura particolare: i manufatti (essiccati all’aria) vengono cotti in forni con un’atmosfera interna riducente (priva di ossigeno) e grazie alle reazioni chimiche che si sviluppano, gli oggetti assumono la colorazione nera (l’ossido ferrico dell’argilla si trasforma in ossido ferroso). Le decorazioni, dapprima graffite a motivi semplici, divennero sempre più complesse, fino a comporre scene figurate a rilievo con anche applicazioni in aggetto. LA SCULTURA La scultura è funzionale a esigenze di carattere religioso e funerario, serve a protezione dagli spiriti maligni. La tecnica più usata fu la ceramica, con cui si realizzarono suppellettili, sarcofagi e statue che decoravano i templi. Al VII e VI secolo a.C. risalgono i CANOPI, urne di terracotta o bronzo contenenti le ceneri del defunto, la cui copertura spesso raffigura il ritratto stilizzato del defunto. Il vaso è ulteriormente “umanizzato" perché il coperchio e le anse vengono modellate a forma di testa e braccia umane. Si predilige un profondo realismo espressivo (l’argilla permette una maggiore immediatezza si esecuzione rispetto alla pietra). I volti delle sculture risentono molto delle influenze della scultura arcaica greca: appaiono rozzi e squadrati, con lineamenti fortemente stilizzati, severamente composti. Nel V secolo a.C. si diffonde invece l’uso di ritrarre, sulle coperture dei sarcofagi, le immagini dei defunti, come adagiati su un letto-triclinio. Il defunto è spesso rappresentato esaltando le caratteristiche che ne risaltano la ricchezza e il potere. Il SARCOFAGO DEGLI SPOSI (520 a.C.). Il coperchio è ornato dalle figure a tuttotondo degli sposi, adagiati su un letto durante un banchetto (la posa delle mani indica che stringevano degli oggetti, forse un calice di vino o cibo). Le forme, pur risentendo dell’arcaismo greco nella rigidità delle pose, sono rese articolate con un sapiente gioco delle mani e delle ombre intense. I volti hanno lineamenti allungati che fanno perdere i connotati specifici dei soggetti, mostrando una tendenza alla tipizzazione esprimendo, con sorrisi enigmatici, una particolare arguzia e serenità. I corpi degli sposi sono analizzati accuratamente fino al busto, mentre il resto del corpo appare più rigido, semplificato e sintetico, nascosto sotto le lunghe vesti. L’atmosfera tranquilla si coglie nella serenità dei volti, nei gesti pacati, nella tenerezza dell’abbraccio e del particolare intreccio di mani che testimonia un intenso dialogo tra i due sposi. Questi elementi testimoniano la padronanza della tecnica e di saper trasmettere sentimenti ed emozioni. Le ombre sono poco marcate e la luce scivola sulla superficie lievemente scolpita. Il tutto sprigiona un senso di solennità ed eleganza. L’APOLLO DI VEIO (510 – 490 a.C.) è una statua in terracotta policroma a grandezza naturale. Ha varie analogie con la coeva scultura ionica, come i segni incisi nella capigliatura, nelle pieghe della veste e nella fissità enigmatica del sorriso (tipico del periodo arcaico greco). Ma qui lo scatto in avanti suggerisce un vigore estraneo ai greci. La gamba sinistra avanza, il busto si inclina, le braccia si sollevano in un gesto impetuoso. L’opera è caratterizzata da linee taglienti (nelle pieghe, nei capelli, nelle labbra e negli occhi) che mettono in risalto la struttura e creano ombre nette. La statua non ha l’equilibrio e il rigore propri della produzione greca. Non si ricerca più la perfezione e la bellezza, ma la spontaneità dei movimenti testimonia una profonda e autonoma rielaborazione dei modelli greci. Nella muscolatura delle gambe si vede un’attenzione particolare per i dettagli anatomici, anche se ancora piuttosto schematici e rigidi. Le pieghe innaturali della veste e la decorazione del sostegno, riportano uno spiccato gusto per l’ornamento. La LUPA CAPITOLINA (V secolo a.C.) è realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa. Il modellato, pur non essendo realistico, esprime una grande vitalità (come se la lupa presagisse un pericolo). Infatti la lupa è rappresentata con le zampe ben piantate a terra, il muso che ringhia, la pelle tesa sull’ossatura e la testa girata a sinistra con uno scatto deciso. Il realismo di questi elementi è smorzato dalla pelliccia lavorata a piccoli riccioli geometrici. Alcuni dettagli (fauci semiaperte, orecchie dritte, eccessiva magrezza, mammelle appuntite, pelo “squamoso”) ci danno la sensazione di ferocia e crudeltà. La tensione dell’animale non è suggerita da un modellato realistico, ma dalla posa rigida delle zampe, saldamente aderenti al suolo, e dalla bocca aperta. I piccoli Romolo e Remo che bevono il latte dalle mammelle sono stati aggiunti da Antonio del Pollaiolo (XV secolo d.C.), ma probabilmente dovevano essere presenti anche nell’originale. CHIMERA DI AREZZO (fine V secolo a.C.). La chimera era un orribile mostro mitologico che sputava fuoco e aveva il corpo di capra, la testa di leone e la coda di serpente. Fu uccisa da Bellefronte sul cavallo Pegaso (donato da Atena). La chimera qui è rappresentata mentre prepara un attacco, con le zampe anteriori tese e la bocca aperta. Dalla schiena sporge una testa di capra ferita sul collo. Il serpente che addenta il corno della capra è un rifacimento di un restauratore del Settecento. In origine, la testa del serpente, come quella del leone, doveva volgersi in maniera minacciosa contro il nemico che la stava attaccando. L’elemento più caratteristico è l’accentuazione espressiva: tendini tesi, criniera mossa, dorso curvo, costole evidenti. La statua ha una linea di contorno sinuosa e tesa al tempo stesso, che forma, con la coda, un cerchio aperto a cui corrisponde la ferma tensione delle zampe anteriori. L’influsso greco-ionico è visibile nella stilizzazione dell’animale. La forma della testa e degli occhi del leone, a esempio, sono stilisticamente simili alle figure di leoni nella pittura vascolare greca e alle teste di leone degli sgocciolatoi dei tempi greci. Ma la ricerca di forza espressiva è tipica dell’arte etrusca, come lo sono alcuni elementi stilistici (gli orecchi all’interno della criniera e le pieghe stilizzate del muso). L’ARRINGATORE DEL TRASIMENO (90 a.C.) è un ritratto bronzeo a grandezza naturale. L’uomo alza il braccio con il palmo della mano in avanti come per richiedere l’attenzione di un gruppo di ascoltatori, chiedere silenzio e prendere la parola. Osservandola bene si nota che la mano è sproporzionata rispetto al resto della figura; la sua maggiore grandezza è giustificata dal suo valore simbolico. Il braccio sinistro invece è abbassato, parallelo al corpo e nascosto nel panneggio della toga. La gamba sinistra infine avanza leggermente. La resa del panneggio dimostra una certa abilità, sebbene sia presente qualche incertezza anatomica, soprattutto nel raccordo della spalla destra al tronco. Il moto ascensionale delle pieghe e l'andamento obliquo della posa indirizza tutta l'attenzione dello spettatore sul gesto e sul volto. Quest'ultimo è appoggiato su un alto collo ed è mosso da lunghe rughe incavate sulla fronte e da incisioni più sottili ai lati degli occhi, per rendere la senilità del soggetto. Le guance sono appiattite, le labbra ferme e disegnate abilmente, le cavità degli occhi, un tempo riempite probabilmente da inserti di pasta vitrea, sono di notevole espressività. La capigliatura, lavorata a ciocche regolari eseguite col cesello, è aderente al cranio, e solo nella bassa frangia mostra un piccolo rialzo. La fisionomia dell’uomo rivela la sua età avanzata. Infatti si notano profonde rughe sulla fronte e altre agli angoli degli occhi. Anche le labbra hanno perso il giovanile turgore e le guance non sono più tese. L’artista non vuole fissarne l’identità psicologica, ma sottolineare la volontà persuasiva col braccio teso e il busto flesso in avanti. L’opera esprime l’autorevolezza dell’arringatore: il suo sguardo è serio e concentrato, pronto ad affrontare una folla con parole convincenti. Si capisce anche che è una figura vera perché, nonostante la perdita dei bulbi oculari, possiamo notare i piccoli difetti nel volto e nella pelle che rendono la sua immagine molto aderente alla realtà. E’ un realismo che mira al risultato complessivo più che ai particolari. Il volto ha un’espressione realistica e la posizione è vivace. |
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LA PITTURA
Dalla metà del VI secolo a.C. si diffuse l’uso di decorare le camere sepolcrali usando la tecnica dell’affresco (dipingere su un sottile strato di argilla e calce steso su una parete di tufo). In questo modo i colori, amalgamati con l’intonaco, ne diventano parte integrante e, una volta asciutto l’intonaco, entrano stabilmente a far parte del muro. Fino al V secolo a.C. la pittura doveva ricreare, nella dimora del defunto, l’ambiente e i caratteri di quella terrena, così che continuasse a partecipare idealmente alla vita quindi venivano rappresentati momenti gioiosi e di svago, situazioni che presentavano lo status sociale della famiglia o l’attività del defunto. Le immagini, per quanto stilizzate, risultano idealizzate e dai colori vivaci. I contorni sono segnati da linee scure, flessuose e sicure e spiccano su sfondi chiari e monocromi. La tecnica è rapida e non dà attenzione ai dettagli. Le linee sono stilizzate e sembrano avere una funzione più decorativa che descrittiva. Essenzialmente non è una pittura realistica, ma è legata a schemi tradizionali, con riferimenti alla pittura greca, a quella del vicino Oriente e a quella egizia. Le figure umane sono rappresentate in modo simbolico, sia nei colori (uomini con la pelle rossa e donne rosa), che nelle posizioni (volti, braccia e gambe di profilo, busto e occhio frontali). Gli affreschi etruschi sono caratterizzati da una grande libertà nel rappresentare i movimenti (infatti tra i soggetti sono frequenti musici, atleti o danzatori) e spesso non c'è l'interesse a rispettare le proporzioni. Si possono trovare figure con braccia o gambe di lunghezza o di spessore differente, o cavalieri giganti accanto a cavalli minuscoli. |