ARTE TARDA ANTICHITA'
Dalla fine del II secolo d.C. si iniziano a notare dei segnali di cedimento dell'Impero romano, aumentati da varie crisi economiche che si susseguono e da pressioni di popolazioni "barbare" sui confini.
Dal IV decennio d.C. si diffonde il pensiero dei Cristiani, facilitato dalle grandi vie di comunicazione di cui erano innervate le province romane e dalla vivacità dei traffici commerciali. Nell’impero romano conviveva una pluralità di popoli, culture e sistemi religiosi diversi. Il Cristianesimo all’inizio fu tollerato, ma poi subì una persecuzione aperta e sanguinosa poiché, essendo una religione monoteista, non riconobbe l’autorità divina dell’imperatore e ripudiò le gerarchie sociali dell’impero romano. Dopo un lungo periodo di persecuzioni venne emanato l’editto di Costantino (nel 313 d.C.), grazie al quale il Cristianesimo inizia a essere tollerato all'interno dell'Impero e qui i cristiani possono pregare e svolgere le proprie celebrazioni liberamente (senza rischiare condanne) e quindi anche iniziare a costruire edifici per questa nuova religione. Nel 380 d.C. con l'editto di Teodosio il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero e nel 392 l'unica religione tollerata all'interno di esso. In questo periodo l'imperatore viene considerato una sorta di vicario di Cristo sulla terra. I cristiani, all’inizio, usarono le forme espressive del proprio tempo, cioè usarono modelli antichi a cui dettero un valore simbolico diverso. Poi, progressivamente, dettero vita a innovazioni radicali. Quindi è difficile stabilire una linea di demarcazione netta tra arte pagana e arte cristiana. La differenza è che le opere ritornano a essere fatte per la divinità, per mettere in contatto il fedele con la divinità. Quindi si sviluppa un’arte retorica e comunicativa. I LUOGHI DI CULTO delle prime comunità cristiana erano le proprie case. Questo nuovo tipo di sacralità non era vincolata a un luogo fisso, ma a una comune scelta religiosa. Anche la parola “chiesa” (deriva dal greco “ecclesia” = assemblea) ed era usata per identificare sia la comunità che l’ambiente in cui essa si trovava. I LUOGHI DI SEPOLTURA inizialmente erano dei cimiteri collettivi dove i defunti venivano inumati. Questi cimiteri erano sotterranei visto che il terreno romano, costituito da tufo o da terreno compatto, era facilmente asportabile e adatto a essere scavato. Fino al II secolo, le comunità cristiane scavarono nuove diramazioni all’interno di aree sepolcrali già esistenti. Le catacombe sono quindi dei cimiteri sotterranei ampi e complessi, un labirinto di gallerie scavate nel sottosuolo. Qui ci venivano sistemati i loculi a parete: sepolture chiuse con lastre di marmo o mattoni. Dal III secolo iniziano anche a essere decorate con dipinti, stucchi o mosaici che rappresentano episodio del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nelle catacombe sono presenti varie forme di espressione figurativa, alcune semplificate fino all’essenziale. Le più caratteristiche sono le decorazioni pittoriche che si estendono su volte, pareti e piccoli vani delle gallerie. Le figure sono rese in forma semplice e compendiaria (realizzate con macchie accostate), pensate per essere viste alla luce di lanterne. Il segno è leggero e quasi sommario, la colorazione a vividi sprazzi ricorda la maniera già vista a Pompei. L’arte delle catacombe crea un immaginario legato al tema della salvezza molto ricco e articolato, in cui convivono raffigurazioni simboliche ed episodi narrativi. La realtà visibile rappresentata rimanda a un’altra invisibile. Inizialmente troviamo uno certo rifiuto a rappresentare il divino perché è una religione che deriva dall’ebraismo e perché era rischioso farsi scoprire a seguire la religione cristiana. Le immagini simboliche sono dotate di un doppio significato: il primo è quello evidente e meno pericoloso (un animale, un mestiere, un oggetto), il secondo è nascosto e conosciuto solo dagli altri cristiani. SIMBOLI DEL CRISTO: ancora, faro e barca (come una certezza per il fedele); pesce (perché il termine greco per “pesce” può essere letto come la sequenza delle iniziali delle parole “Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore”); buon pastore (in base alla parabola della pecorella smarrita); fenice; animali mansueti come il pavone e il cervo. SIMBOLI DELLA GRAZIA DIVINA: vaso colmo d’acqua, colombe che si abbeverano (i credenti). SIMBOLI DELLA VITTORIA SULLA MORTE: palma e corona (premi nell’immaginario romano); pavone (anima incorruttibile del credente). SIMBOLI DEL SACRIFICIO DI CRISTO: agnello (vittima sacrificale per eccellenza nella pratica ebraica); pane e grappoli d’uva (che ricordano il pane e il vino dell’Eucarestia). SIMBOLI DEL PARADISO: temi di ambientazione bucolica che rimandano a una condizione quieta e beata. SIMBOLI DELLA SALVEZZA: si rievocano i prodigi salvifici dell’antico testamento che vedono Dio intervenire a favore del popolo eletto (Noè, Abramo, Mosè, profeta Giona) e le guarigioni miracolose di Gesù (del paralitico, del cieco, la resurrezione di Lazzaro). SIMBOLI DEGLI EVANGELISTI: leone = Marco; toro = Luca; aquila = Giovanni; uomo = Matteo. La linea fondamentale dell’estetica medievale comincia con Plotino e poi viene ripresa da Sant’Agostino. Sono entrambi filosofi della scuola platonica con il culto delle idee e del mondo perfetto dove risiedono, di cui il mondo visibile è solo un pallido riflesso. Secondo Plotino è importante l’interiorità dell’uomo che si connette con lo spirituale divino; il mondo visibile ha un’importanza subordinata. Per Sant’Agostino l’importante è il soprannaturale (con un’ideologia fortemente teocentrica) e il visibile è solo accidentale. Quindi le opere d’arte devono smettere di occuparsi di rappresentare il reale, ma plasmano il mondo divino e sovrannaturale. Nel Medioevo le forme si astrattizzano, le opere rappresentano il mondo divino e le rappresentazioni servono a mostrare ai fedeli che c’è un mondo a cui aspirare. In questo periodo il livello culturale era basso e la Chiesa era la depositaria della cultura. L’arte diventa quindi un’alleata della religione per far conoscere il suo messaggio. SCULTURA Ci sono arrivati vari sarcofagi marmorei i cui temi decorativi si evolvono da quelli bucolici, marittimi e filosofici a quelli cristiani verso la metà del III secolo. Spesso i rilievi si susseguono in una narrazione continua, ma non in ordine cronologico. SARCOFAGO CON LE STORIE DI GIONA (fine III secolo). Vi si può ammirare il più bell’esempio figurato del ciclo che i primi artisti cristiani dedicarono alla storia di Giona: a sinistra è la scena dei marinai che gettano il profeta dalla nave, in pasto al “grosso pesce”, divenuto qui un mostro marino. Il mostro rigetta poi, specularmente, il profeta su una roccia abitata da animali, sulla quale infine, più in alto, egli riposa disteso sotto la «gran pianta di ricino» che Dio fa crescere per ristorarlo. Altre scene sono riconoscibili nel vasto campo iconografico: Noè nell’arca; la risurrezione di Lazzaro; le due scene apocrife di Pietro che battezza i carcerieri e di Pietro arrestato; e, infine, le figure simboliche di alcuni pescatori e di un pastore con il gregge. Il poco che resta dei fianchi del sarcofago ha evidenziato una decorazione a motivi vegetali (grappoli di ciliegie). Il tema principale, di proporzioni maggiori e centrato sul mostro marino che si raddoppia specularmente, si intreccia con la massima libertà ad altri episodi dell’Antico Testamento e della vita di Cristo. Giona, essendo stato tre giorni nel ventre del mostro marino, è rappresentato come anticipazione della resurrezione di Cristo. SARCOFAGO DEL BUON PASTORE (IV secolo). Attorno ad una figura centrale del buon pastore, ingrandita, posta su un piedistallo e riprodotta anche alle due estremità, si dispone una serie di piccoli angeli vendemmiatori in una complessa rappresentazione di tralci di vite ricavati con abbondante uso del trapano. La pianta di vite, già usata in passato per raffigurare paesaggi elegiaci e idealizzati, qui assume la simbologia di rinascita, con i ceppi apparentemente morti e i rami più alti via via più ricchi di fogliame e frutti. I grappoli richiamavano inoltre il vino dell'eucaristia. Questo sarcofago rappresenta un passaggio importante nella cosiddetta "dissoluzione dell'arte classica" operata dalla sensibilità figurativa paleocristiana: la composizione sintattica rinuncia in coerenza, in vista del più stringente fine di presentare immagini significative, in modo che il racconto risulta slegato e il ritmo è dato dall'ornato piuttosto che dal senso della narrazione. Per questa ragione, la figura del Cristo imberbe è ripetuta tre volte. Lo spirito pastorale del soggetto si estende allo stile con una composizione divisa e slegata, linearisticamente sciolta e pittoricamente vivace. Lo stile impressionistico suggerisce un’atmosfera bucolica che, al di là del soggetto, appartiene ancora allo spirito dell’arte pagana. Dal IV secolo le decorazioni dei sarcofagi sono più equilibrate, mettendo in scena molti episodi; non rispettano ancora una sequenza precisa, ma sono inseriti dentro a un’intelaiatura compositiva di elementi architettonici. SARCOFAGO DI GIUNIO BASSO (359 d.C.). Contiene le spoglie di un prefetto rimano convertito al Cristianesimo. Qui si individuano rapporti diretti con la classicità nell’organizzazione ritmica della figurazione e nell’evidenza plastica delle figure. E’ organizzato come un doppio porticato, tra le cui colonne sono raffigurate scene del vecchio e del nuovo testamento, ciascuna isolata in riquadri dagli elementi architettonici. Nonostante il ricorso al naturalismo e alla cura dell’esecuzione, manca lo svolgersi continuo della narrazione e ogni riquadro è considerato per se stesso. L’architettura scolpita, pur determinando la separazione fisica delle scene, né è anche l’unico motivo unificante. I tratti espressivi dei volti dei personaggi rivelano una ricerca di introspezione psicologica. Nelle scene c’è un forte contrasto luministico tra superfici levigate e altre finemente cesellate; inoltre si alternano composizioni statiche e dinamiche. |